La chiamata americana

Lo scorso fine settimana Cadice ha ospitato il XXII vertice latino-americano. FERNANDO DE HARO riflette sull’importanza del dialogo tra le due sponde dell’Atlantico

Lo scorso fine settimana Cadice ha ospitato il XXII vertice latino-americano. Una buona occasione per riflettere su che cosa significhi in questo momento la “chiamata americana”. Il vertice si tiene da più di 20 anni e ha bisogno di un importante rinnovamento. Lo scenario è infatti cambiato notevolmente rispetto al primo, svoltosi a Guadalajara, in Messico. Allora quella parte di America che parla spagnolo stava attraversando quello che alcuni hanno definito “il decennio perduto”, iniziato con il fallimento del Messico del 1982.

Il decennio fu in realtà un periodo di 20 anni in cui le economie dell’America Latina arrancavano e cercavano fondamentalmente nell’Europa e nella Spagna aiuti per lo sviluppo. Ora la situazione è capovolta: il Brasile è la sesta economia del mondo, l’Argentina e il Messico fanno parte del G-20, il Cile e la Colombia sono diventati esempi di modernizzazione in molti settori, il Perù cresce a un ritmo del 6% l’anno e l’intera area del 4%. L’America Latina ora guarda di più al Pacifico. Tanto che Dilma Rousseff, presidente del Brasile, a Cadice ha tenuto una “lezione”, spiegando che l’errore negli anni ‘80 e ‘90 è stato quello di applicare solo politiche di austerità.

Bisogna certamente prendere atto di questi suggerimenti nella vecchia Europa. Fortunatamente ora il Fmi non richiede provvedimenti fatti di soli tagli. In ogni caso, la crescita economica non è l’unico indicatore di sviluppo e l’America Latina ha ancora tanto lavoro da fare per risolvere i problemi di sicurezza, rafforzare la democrazia e superare le disuguaglianze sociali. I poteri populisti di Cuba, Venezuela, Ecuador e Bolivia sono zavorre che dipendono molto dalla mancanza di sensibilità sociale delle classi dirigenti.

In ogni caso, l’America Latina che guarda verso il Pacifico è una “chiamata” per una Spagna che vuole rinnovarsi. Molte grandi aziende spagnole sono già lì. Ora la sfida è che possano giungere anche quelle piccole e medie. Il grosso problema dell’economia spagnola è la sua bassa produttività, non tanto nelle aziende di grandi dimensioni, ma nelle Pmi. L’esportazione e lo sviluppo sull’altra sponda dell’Atlantico possono essere uno stimolo per migliorarla.

Ma la “chiamata americana” non è e non può essere solo una questione economica. La cultura precede sempre qualsiasi movimento sia delle persone che dei popoli. La Dichiarazione di Cadice, con la quale si è concluso il vertice, sottolinea il valore che la Costituzione spagnola del 1812 (approvata appunto nella città andalusa) ha avuto come riferimento comune per i processi di indipendenza. Bisognerebbe svolgere una revisione storica profonda per vedere fino a che punto Cadice fu motivo di unione o disunione. In effetti, una delle cause ultime dell’indipendenza fu che i liberali che convocarono le Cortes nel 1812 chiamarono colonie i territori dell’America Latina, sottovalutando il valore di chi vi abitava.

In ogni caso, riconoscersi in una radice comune, superando vecchi schemi ideologici, è necessario per guardare al futuro. Gli intellettuali liberali come Enrique Krause reclamano un giusta valorizzazione dell’origine genetica spagnola dell’America Latina. Solamente i politici populisti che hanno sostituito il marxismo con l’indigenismo o il vittimismo continuano a parlare in termini problematici dell’origine europea dell’America Latina. A Cadice si è dovuto ancora sentire Evo Morales parlare degli “abusi” del passato. L’evangelizzazione e la conquista degli spagnoli sono state piene di errori e di non pochi eccessi, che sono stati certamente riconosciuti fin dall’inizio. Ma si è trattato di uno dei processi di meticciato più interessanti della storia.

Il Vangelo ha aperto le culture indigene all’universale e questa apertura è proprio ciò che rende grande una cultura. Ora che l’America Latina si affaccia verso un nuovo futuro e quando all’orizzonte c’è un altro processo di meticciato, stavolta con l’Asia, una memoria non problematica della propria origine sarebbe di grande aiuto. Ma non si tratta solamente di una questione del passato. In una società pluralista, l’esperienza della fede, su entrambe le sponde dell’Atlantico, continua a proporsi, attraverso un incontro umano concreto, come risposta al desiderio di universalità di ogni persona e di tutti i popoli.

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