Le elezioni tenutesi domenica in Catalogna sono state le votazioni regionali più importanti che hanno avuto luogo in Spagna dalla Transizione. Il presidente in carica della Generalitat, Artur Mas, le aveva presentate come un plebiscito e la prima evidenza che arriva dai risultati è che è stato brutalmente sconfitto.

In molti non gli hanno perdonato il fatto di aver cavalcato le richieste indipendentiste, data l’incapacità di governare in una situazione di durissima crisi. Gli elettori del nazionalismo moderato l’hanno punito per aver abbandonato quella che era una tradizione in ampi settori della borghesia catalana: rivendicazioni verso Madrid, ma senza “esperimenti” particolari.

È stata senza dubbio decisiva la posizione della Commissione europea, che ha ripetuto fino alla nausea che una Catalogna fuori dalla Spagna è una Catalogna fuori dall’Europa. Ma il nazionalismo moderato si è indebolito a causa di chi ha scelto l’originale alla copia: Erc (Esquerra republicana de Catalunya, Sinistra repubblicana di Catalogna), la formazione che rappresenta la posizione più radicale, è migliorata, ottenendo 21 deputati.

La prima conclusione che si può trarre è che se Artur Mas fosse coerente dovrebbe dimettersi. Ma il CiU (Convergència i Unió, Convergenza e unione, il partito di Mas) può tentare di governare con il sostegno dell’Erc: insieme otterrebbero la maggioranza assoluta. In questo modo il Presidente potrebbe andare avanti con la sua follia indipendentista, che sarebbe un suicidio per la Catalogna e la stessa CiU.

Nelle elezioni era importante sapere quale risultato avrebbe ottenuto la CiU, ma era altrettanto decisivo scoprire quale sarebbe stato il secondo partito a ottenere più voti. Purtroppo è stato l’Erc e non il Psc (Partit dels Socialistes de Catalunya, Partito socialista catalano). I socialisti pagano un forte scotto, sebbene non abbiano subito il tracollo previsto dai sondaggi. Una parte dei lori elettori, che si sentono catalani spagnoli, ha appoggiato sicuramente Ciudadanos (Cittadini), il piccolo partito laicista che sostiene una Catalogna all’interno della Spagna. Anche in questo caso, gli elettori avrebbero preferito l’originale alla copia: meglio il voto a Ciudadanos che al Psc, che ha flirtato con il nazionalismo. Il Pp (Partido popular, Partito popolare) è cresciuto, ma senza sorprese.

Queste elezioni mostrano una Catalogna politicamente molto frammentata e socialmente divisa quasi equamente tra quelli che vogliono continuare a far parte della Spagna e coloro che chiedono una qualche forma di “sganciamento”. E pare che quest’ultimi siano la maggioranza. Una situazione di questo tipo richiede proposte politiche e fiscali “fantasiose”.

È chiaro che il quadro della Costituzione è obsoleto e che, se si vuole in qualche modo risolvere la situazione, è necessario proporre nuovi assetti istituzionali. È un obiettivo che il Governo nazionale del Pp si trova davanti. Perché non accettare il federalismo? Perché non usare “tratti differenti” nei confronti delle Comunità autonome?

Proprio a causa del mosaico sociale e politico che è la Catalogna, in questo momento tutti hanno l’obbligo di “raccontarsi”, di spiegare qual è la loro posizione, cercando il dialogo. I cattolici, invece, dovranno prendere nota dei risultati. Perché le opzioni politiche più vicine al cristianesimo, tanto tra chi sostiene e chi invece osteggia l’indipendenza, risultano in chiaro declino. La Catalogna è una delle regioni più secolarizzate d’Europa e questo si vede al momento del voto.

Bisogna abbandonare qualunque sogno di egemonia e riconoscere, con realismo, che l’obiettivo dell’evangelizzazione va perseguito a partire da zero. E per questo sarebbe necessario allontanarsi dal potere.