È stata una chiusura frenetica quella della campagna elettorale americana. Quando mancano poche ore al responso delle urne, Obama e Romney sono ancora in “pareggio tecnico”. Forse l’attuale Presidente ha un leggero vantaggio, dato che è davanti di due punti in due “swing states” decisivi: Ohio e Florida.

Obama ha cercato di guadagnare voti ricordando che ha “catturato” Bin Laden e che la sua politica ha mantenuto aperte le fabbriche automobilistiche di Detroit (va detto che l’uccisione di Bin Laden non è stata – come ha detto allora il Presidente – un atto di giustizia, ma un’inammissibile sospensione dello stato di diritto). Romney, dal canto suo, ha ricordato ancora una volta che la disoccupazione continua a restare intorno all’8%.

La campagna elettorale ha messo in evidenza la mancanza di orizzonti ideali della vita politica. Gli Stati Uniti non sono più “l’impero”, dato che il pianeta è diventato “multipolare”. Ma il mondo occidentale continua ad aver nel Paese di Jefferson uno dei suoi riferimenti fondamentali. E nessuno dei candidati alla Casa Bianca ha presentato un progetto all’altezza delle sfide del momento. Né sul piano economico, né sociale. Né tanto meno a livello internazionale. E la questione diventa più grave se pensiamo che stiamo affrontando la peggior crisi degli ultimi 50 anni.

Obama ha perso gran parte del carisma che aveva, non è più il “fresco” candidato che si presentava come alternativa post-ideologica agli eccessi di Bush. Dal punto di vista economico non è stato un innovatore: si è limitato ad applicare le soluzioni che gli economisti hanno ritenuto più convenienti. La misura principale è stata iniettare liquidità nel sistema monetario per evitare una recessione cronica. In campo sociale, più che un radicale, si è rivelato un opportunista. Ha soddisfatto le aspirazioni dei liberali su entrambe le coste. Ma è stato incapace di superare la drammatica polarizzazione di un Paese in cui il consenso è sempre stato la regola aurea da rispettare.

È difficile delineare il profilo di Romney. La sua politica alla guida del Massachusetts è stata di centro, quasi di centrosinistra se la si valuta con i parametri nordamericani. Il suo grande argomento durante la campagna elettorale è stato puntare su un taglio delle tasse per favorire la creazione di posti di lavoro e su una riduzione del deficit. Dal momento che nessuno sa bene cosa fare, i Repubblicani, in particolare il candidato vicepresidente Ryan, scommettono sulle formule degli anni 80: ridurre la pressione fiscale per sostenere la ripresa.

In politica estera, le differenze sono minime. Romney spenderebbe di più per la difesa, sarebbe più duro con la Russia e forse si avvicinerebbe all’Europa. Ma non ci sarebbe alcun cambiamento in Medio Oriente e “l’ossessione” continuerebbe a riguardare l’Asia, soprattutto la Cina. Un’Amministrazione repubblicana, però, difficilmente sarebbe più esigente in materia di diritti umani con il gigante asiatico.

I criteri di voto per un cattolico sono semplici: la libertà per la Chiesa, la sussidiarietà e la solidarietà. Si tratta dei criteri che servono per superare il dualismo che negli Stati riguarda sia i cattolici cosiddetti conservatori che quelli progressisti. Non si tratta di fare una scelta tra valori di destra e di sinistra.

E cosa si può dire sull’applicazione di questi criteri? Una delle grandi sfide sociali che gli Stati Uniti dovranno affrontare in questo momento è l’immigrazione clandestina. Ci sono quasi 12 milioni di immigrati clandestini, per lo più ispanici, che non hanno alcuna aspettativa di regolarizzazione. Sono impiegati in lavori che nessuno vuole più fare e vivono sempre con la minaccia dell’espulsione. Obama ha “perdonato” i più giovani. Ma il problema resta ancora senza soluzione. L’attuale presidente avrebbe potuto compiere una riforma profonda quando poteva contare sulla maggioranza in entrambe le Camere, ma non lo ha fatto. È difficile che la base del partito repubblicano permetta a Romney di intervenire su questa materia.

Con la sua riforma sanitaria, Obama ha cercato di avvicinare gli Stati Uniti al modello europeo. Una cosa che potrebbe avere effettivi positivi sulla salute ha fatto sì che venissero copiati gli aspetti più negativi di alcune politiche del Vecchio Continente in materia di libertà religiosa. Obbligando le istituzioni cattoliche a far coprire le spese dei propri dipendenti per la contraccezione, e persino per l’aborto, si applica una formula estranea alla tradizione americana. Da quando i padri pellegrini della Mayflower sono sbarcati sulle coste di Cape Cod, la cultura politica degli Stati Uniti si è sempre basata sul rispetto dell’identità di coloro che hanno costruito la società e il Paese. Obama ha usato lo slogan “l‘America è tornata”. Ma il suo impegno nel limitare la libertà significa che l’America sta “affondando” uno dei suoi tratti distintivi.

Tutto questo non significa che un secondo mandato dell’attuale presidente rappresenti un male. Sarà una sfida in più per i cattolici americani. Con meno libertà dovranno imparare, come tutti, a essere più essenziali e creativi. Un secondo mandato di Obama sarà un invito a superare l’identificazione della fede con alcune posizioni morali o stereotipi sociali. Negli Stati Uniti, come in molti altri posti, resta da fare un lungo e appassionante lavoro per purificare lo schema culturale in cui si esprime l’esperienza cristiana.

Il cristianesimo non è un complemento o un conforto spirituale. Non è un’etica per le persone di successo, né il rifugio dei perdenti. Non è il complemento di un paesaggio preordinato. È di natura diversa. È la certezza di una pienezza che giudica tutto, che cambia tutto. Dall’interno.