Non posso vivere il Natale di quest’anno se non come un Avvenimento, che è in grado di annullare la distanza di duemila anni da quel Fatto inaudito, per cui il Mistero infinito si è fatto presente nel nostro mondo, racchiudendosi nel grembo di Maria, cioè nella nostra carne finita e piena di limiti.

Come è imprevedibile e però fino in fondo corrispondente alla struttura della nostra natura umana il metodo di Dio! Perché troviamo una risposta ragionevole e sperimentabile all’attesa e al bisogno infinito del nostro cuore, noi abbiamo bisogno di essere rintracciati da una presenza che si vede e che si tocca, ma che ha dentro di sé il divino che solo può colmare il nostro cuore.

Come mi disse un po’ di anni fa Asset, un giovane kazako dagli occhi a mandorla, di tradizione musulmana: “Voi italiani siete venuti qui da 6 mila chilometri di distanza e Cristo è arrivato in questa terra, e io l’ho incontrato”.

Caro salutis est cardo”, afferma un autore cristiano del III secolo, Tertulliano: “La carne è il cardine della salvezza” (De carnis resurrectione, 8,3: PL 2,806).

Sto vivendo un po’ più consapevolmente l’esperienza che la nascita e la presenza di Gesù nella storia degli uomini non può prolungarsi e dilatarsi fino agli estremi confini del mondo se ciascuno di noi, che è stato già incontrato da Lui, attraverso il suo Corpo che è la Chiesa, non decide nella sua libertà di farsi espropriare di tutto, perché Lui prenda un corpo nella tua persona, fino a farti dire “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).

Per questo mi sorprende e lo sento vero per me, come fosse la prima volta, il fatto che è accaduto a Maria, nell’istante dell’annunciazione. Il Mistero, che non abbandona la sua creatura, poteva venire incontro all’uomo nei mille modi che la sua sapienza e fantasia avrebbero potuto immaginare; invece ha voluto avere bisogno di lei per rendersi presente come uomo nelle coordinate della nostra storia.

Senza quel breve, ma coessenziale “sì” di Maria, Dio non sarebbe potuto venire ad abitare in mezzo a noi nella grotta di Betlemme e non avrebbe potuto, diventato adulto, coinvolgere altri uomini nel Corpo della sua presenza e generare quei venti secoli di storia cristiana che ha abbracciato anche noi e di cui possiamo godere il frutto di umanità in quei paesi che sono stati raggiunti dal cristianesimo.

La grandezza di Maria non è stata l’aver dato un corpo di uomo al Mistero infinito di Dio (questo è il miracolo che Dio ha operato), la grandezza di Maria è stata l’aver drammaticamente messo in gioco la sua libertà, buttandosi nell’abbraccio del Signore. 

La letizia del Natale di Gesù, della Presenza del Mistero infinito nella carne di quel piccolo Bambino, che stava prendendo forma umana nel grembo della Vergine, è un dono enorme, ma che costa caro, perché prende tutto. E proprio perché ci vuole colmare con la sua Presenza, la gioia di Dio comincia con lo strapparci tutto. 

Sono consapevole che il Signore, per forgiare il nostro volto eterno, nella vita qui sulla terra non ci lascia mai tranquilli. Infatti, io mi sono sempre trovato bene dove il Signore mi ha voluto mandare a servirlo, prima in due parrocchie della nostra diocesi ambrosiana (Sant’Andrea a Milano e Romano Banco di Buccinasco), poi in missione come Fidei donum in Kazakhstan e ora al Collegio della “Guastalla” di Monza, ma non mi ha mai permesso di soccombere alla tentazione, che ho avuto e ho, di abituarmi ai suoi doni e ai suoi miracoli.

Per questa ragione, come posso ora dire di no al Papa (ossia alla Chiesa, a Gesù), che mi chiede di andare di nuovo in missione? Credo che là, dove sono mandato, non ci sia molto il pericolo di cedere all’attivismo e all’organizzazione. Un territorio grande due volte e mezzo l’Italia, 2000 cattolici, 8 preti e 6 parrocchie, che distano centinaia e centinaia di chilometri l’una dall’altra.

Sto vivendo così il Natale di quest’anno. Un fare spazio nella mia vita a Lui, un lasciarmi svuotare, perché Lui mi riempia. Chiedo al Signore che continui a cambiare la mia vita, perché anch’io gli possa essere testimone e, con il mio piccolo “”, possa contribuire un poco alla presenza del “Dio vicino”, anche per le persone di quel territorio geograficamente desolato, il Kazakhstan, dove la presenza dei cattolici è un’infima minoranza.

Anche per l’esperienza già vissuta per 12 anni, capisco oggi in modo un po’ più maturo, che per la missione non occorre essere bravi o intelligenti, ma che devo soltanto non resistere all’incontro con Cristo, che ti dice: “Ti voglio bene! Perciò non aver paura ad affidare tutta la tua vita nelle mie mani”.

Voglio dire grazie a tutte le persone e a tutti gli amici, preti e laici, a partire da don Luigi Giussani e ora don Juliàn Carròn, che mi hanno evocato a una esperienza consapevole della fede e sostenuto nel cammino per tanti anni. Quando stavo partendo per il Kazakhstan, la prima volta, don Luigi Giussani, salutandomi, mi aveva ricordato che il frutto della missione non sarebbe dipeso dalle iniziative che avrei saputo mettere in piedi; ma soltanto dal permettere a Gesù di cambiarmi la vita attraverso ciò che Lui avrebbe fatto accadere.

La missione è allora, innanzitutto una grazia fatta a me, perché è la partecipazione al miracolo, che Dio compie, incontrando e facendo crescere degli uomini, protagonisti nuovi nel mondo. Siamo così abituati alla storia cristiana, che il Mistero fatto uomo ha costruito dilatando la sua presenza nel mondo e che noi abbiamo ereditato, che diamo per scontata la ricchezza umana di cui oggi possiamo partecipare. Ma basterebbe vivere in un mondo che non ha conosciuto il cristianesimo per vedere come l’uomo è triste, non sa perché vive, non percepisce l’utilità della sua vita. E come però ha un’attesa a fior di pelle. Elmira aveva 21 anni, quando mi ha scritto queste parole: 

Mi sono ricordata di quel momento in cui è avvenuto il mio primo incontro con Cristo, quattro anni fa. Credetemi, è stato un grande rischio per me, che ero stata educata nella tradizione musulmana; mi era estraneo lo stesso nome di Gesù. Pensavo che non sarebbe mai stato una cosa mia. Ma ho incontrato delle persone che hanno sconvolto tutta la mia vita. Io non capivo ancora nulla, ma percepivo che questo era ciò che il mio cuore cercava. Io non sapevo chi erano loro e per quale ragione erano venuti qui. Ma nelle loro azioni c’era quella ragionevolezza, che io cercavo silenziosamente nel mio cuore. Ho rischiato e adesso riconosco che non sarebbe stato ragionevole se io avessi rifiutato ciò che il mio cuore desiderava, solo perché quella era una “zona proibita”. Voglio dire che ora sono una persona felice”. Poi è venuta a dirmi: “Lui per primo ha incontrato me, io non sapevo chi era e come si chiamava. Ora so che è Gesù. Lui ha abbracciato e cambiato la mia vita. Se posso, vorrei chiedere il Battesimo”.

Sono certo che il piccolo sacrificio che Gesù mi chiede, quello cioè di lasciare di nuovo tutto, è per darmi molto di più. Ed è per questo amore gratuito di Cristo alla mia vita, un amore che mi ha sempre preceduto, che oso dirgi il mio “sì”.

Come è stato per Maria, anche per ciascuno di noi, anche per me l’offerta della nostra carne è ciò che permette a Cristo di abbracciare e trascinare al Destino buono la vita anche di una sola persona, il cui cuore, magari in modo inconsapevole, lo attende.

Solo così coloro che ci incontrano e la cui vita cerchiamo gratuitamente di condividere, si accorgeranno non tanto di ciò che faremo per loro (Maria era andata da Elisabetta per pulirle la casa e preparare da mangiare), ma si accorgeranno di Colui che, avendo preso possesso di tutta la nostra vita, si fa loro vicino per portare la pienezza della gioia.

È di Dio che viene a visitarla che Elisabetta si accorge, prima ancora dell’aiuto che Maria era venuta a recarle: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?»”.