A Madrid ci sono più di 100 manifestazioni alla settimana. Tutte o quasi contro la politica dei tagli. Nei giorni scorsi, alle proteste si sono uniti i camici bianchi. Le strade si sono riempite di medici, infermieri e operatori sanitari. Scioperavano perché il governo regionale di Madrid ha deciso di dare sei ospedali in gestione ai privati e gridavano contro quella che hanno definito la “privatizzazione della sanità”.

Finalmente è stata aperta, sebbene con molte resistenze, la discussione sulla possibilità di introdurre la sussidiarietà nella gestione dei servizi pubblici. In realtà, la parola sussidiarietà non viene utilizzata e nel dibattito, finora, vincono le posizioni di coloro che difendono la gestione diretta da parte dello Stato. I sondaggi, infatti, mostrano che la maggior parte degli spagnoli rifiuta altre formule. Forse è un retaggio del passato franchista, forse l’effetto di una cultura statalista finora condivisa sia dalla destra che dalla sinistra. Di certo, però, occorre cominciare a parlare del tema con franchezza. Il futuro della sanità, in Spagna come nel resto d’Europa, è seriamente compromesso e la gestione indiretta ha un buon biglietto da visita.

Prima dello scoppio della crisi, la sanità spagnola aveva buoni risultati, con una spesa intorno al 9% del Pil. Non era quindi eccessiva, ma quando è deflagrata la bolla immobiliare le cose sono notevolmente cambiate. Il pagamento ritardato dei fornitori è costante, il debito accumulato supera i 16 miliardi di euro e parliamo di un settore che rappresenta tra il 30% e il 60% del bilancio delle amministrazioni regionali, che hanno la competenza in materia. Ed è proprio il deficit delle Comunità autonome ciò che rende difficile il rispetto dei parametri richiesti da Bruxelles. Il rapporto “Promuovere un cambiamento possibile”, redatto di McKinsey alcuni mesi fa, segnalava che il sistema non è più sostenibile.

La gestione indiretta e il decentramento degli ospedali non sono un “esperimento”. Nel 1989 nel Regno Unito fu lanciato il programma “Working for patients” che ha dato autonomia ai centri sanitari, trasformatisi più avanti in fondazioni. In Olanda, oltre il 90% degli ospedali pubblici è di proprietà privata, con gestione affidata a enti non profit. In Italia, più di 100 ospedali sono stati trasformati in fondazioni. In Spagna, negli anni ‘90 è stato fatto un passo in favore dell’autonomia con la creazione di imprese e fondazioni pubbliche. Alcune di esse sono tornati alla gestione diretta, altre continuano a restare autonome.

L’ospedale di Alzira (nella Comunità Valenzana) è stato uno dei primi esperimenti di gestione indiretta avviato nel 1999. Coloro che si oppongono alla “privatizzazione” lo portano come esempio dei disastri a cui può portare la gestione non pubblica. Ma cos’è realmente accaduto ad Alzira? L’Ospedale della Ribera (questo il suo nome) è finanziato dall’Amministrazione con un pagamento per ogni cittadino assistito. Appartiene alla rete pubblica ed è stato dato in concessione (a un gruppo di imprese) con un rendimento massimo consentito del 7,5%. All’inizio, per ragioni politiche, il finanziamento per abitante stabilito era molto basso ed è stato necessario quindi un “salvataggio” con l’intervento pubblico. Non c’è quindi da mettere in discussione il modello: questo caso sta proprio a dimostrare che lo Stato continua a vigilare sul servizio, sottoponendolo a controlli.

La “formula Alzira”, con qualche variante, è stata esportata a Madrid nell’Ospedale di Valdemoro nel 2007. E questo è il modello che ora si vuole portare nei sei ospedali di cui si parlava all’inizio. I pazienti che non saranno soddisfatti di questi ospedali potranno recarsi in uno degli altri della rete pubblica. E sarà il titolare della concessione a dover farsi carico delle spese di questi pazienti: in questo modo si darà molta importanza alla soddisfazione degli utenti.

Ma cosa dicono i dati riguardo i costi e l’assistenza sanitaria? La scorsa settimana la società di consulenza Iasist ha presentato il rapporto “Valutazione dei risultati dagli ospedali in Spagna secondo il loro modello di gestione”, nel quale vengono confrontati 41 ospedali gestiti dallo Stato con altri 37 a gestione indiretta. Questi ultimi sono più efficienti dei primi e hanno una qualità tecnico-scientifica della cura del paziente (misurata in base alla mortalità, alle complicazioni e ai secondi ricoveri) uguale o superiore. Il costo degli ospedali a gestione indiretta è più basso del 27% e la loro produttività è superiore del 37%.

La resistenza a introdurre criteri di sussidiarietà sembra, quindi, soprattutto ideologica. Anche se va riconosciuto che il modello che si intende usare ha uno svantaggio. A differenza di quel che accade in Olanda, le concessionarie sono imprese e non enti senza scopo di lucro. Ma questo indica l’altra faccia dello statalismo: la debolezza di una società civile che non è riuscita, finora, ad articolarsi. La grave crisi attuale offre nuove possibilità.