Lo scorso mercoledì Mario Monti, per la prima volta da quando è Presidente del Consiglio, ha affrontato l’aula del parlamento europeo di Strasburgo, intervenendo sulla situazione economica in Italia e illustrando la sua ricetta per uscire dalla crisi. Tra i parlamentari che hanno dimostrato di apprezzare il lavoro svolto dal presidente Monti nei primi mesi di governo, c’è il capogruppo del Partito popolare europeo Joseph Daul: “Le sono grato per aver evitato in tutti i modi le logiche intergovernative. La maggioranza del Parlamento europeo le è debitrice per questo. Il Parlamento vorrebbe far sentire anche la voce di un’Europa basata sulla solidarietà, responsabile, un’Europa integrata e politica. In questo, può contare sul Parlamento europeo come alleato”.
Oltre a rimarcare quanto l’azione del suo Governo sia in continuità con quella del Governo precedente, sottolineando come stia portando avanti gli impegni presi da Berlusconi per quanto riguarda ad esempio la disciplina di bilancio, Mario Monti ha spiegato che “la disciplina fiscale di oggi deve essere seguita da un rafforzamento del mercato unico, che vada di pari passo con l’unione economica”. Monti ha poi proseguito dicendo che ”l’Italia vuole uscire dalla crisi ed essere ancora una volta una forza trainante della costruzione europea, integrazione europea non significa affatto un superstato, ma un continuo operare del principio della sussidiarietà”.
La visita del presidente Monti è stata l’occasione per la delegazione del Popolo della Libertà al parlamento europeo per presentargli le proposte prioritarie su cui il Governo deve orientare la sua azione in Europa per rafforzare quanto prima il ritorno alla crescita.
Dalle recenti conclusioni del Consiglio Europeo del 30 gennaio 2012, e dal dibattito in corso presso la Commissione per i Bilanci del Parlamento Europeo sugli orientamenti per il 2013, è chiaro come le due autorità di bilancio convergano sulle priorità dell’azione politica dell’Unione Europea per i prossimi anni: Crescita e Occupazione.
In un periodo di crisi globale, diventa fondamentale rispondere concretamente all’esigenza di rilanciare l’economia europea, attraverso investimenti mirati ed un’attenzione particolare all’efficienza e alla qualità della spesa, ben consapevoli degli sforzi di consolidamento fiscale in atto nei singoli Stati Membri.
In tale direzione, il bilancio dell’Unione Europea ha dimostrato negli anni la propria capacità di apportare un vero valore aggiunto alla spesa pubblica. Di ogni euro speso a livello europeo, 0,95 centesimi ritornano agli Stati membri attraverso il finanziamento di programmi indirizzati alla crescita e allo sviluppo.
Ma al di là delle differenze strutturali con i bilanci nazionali, vanno sottolineate due caratteristiche proprie del bilancio europeo, che lo rendono uno strumento efficace di investimento. Innanzitutto, l’impossibilità tecnica di creare deficit e, in secondo luogo, il pressoché totale reinvestimento delle risorse a favore di politiche fondamentali per l’economia europea, quali quelle infrastrutturali e industriali tra le altre, visto che le risorse destinate alle spese amministrative e al funzionamento ammontano al 5 % circa del totale, a fronte di percentuali superiori al 50% per i singoli bilanci nazionali.
Tali considerazioni assumono maggiore significato se inserite nel delicato contesto dei negoziati attualmente in corso per la definizione del nuovo Quadro Finanziario Pluriennale, per il periodo 2014-2020.
La posizione attualmente maggioritaria in sede di Consiglio, condivisa anche dall’Italia, è quella che si orienta sul “congelamento” della spesa europea ai livelli della precedente programmazione finanziaria.
Sarebbe auspicabile, però, che l’Italia ripensasse alla sua posizione, in rapporto al conclamato valore aggiunto europeo e considerato che “congelamento” significa, in realtà, restringimento delle risorse a disposizione per il finanziamento dei programmi europei. E’ infatti noto come, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le competenze e le politiche dell’Unione europea siano significativamente aumentate.
E’ di tutta evidenza che queste maggiori competenze non possono essere pienamente onorate e l’obiettivo del rilancio della nostra economia non può essere pienamente raggiunto, senza un’adeguata dotazione finanziaria, che non può ragionevolmente essere ancorata a livelli negoziati nel 2006.
In particolare si rende necessaria una revisione dell´imposizione di una condizionalità macroeconomica all´interno delle nuove regole fissate nel pacchetto legislativo sulla politica di coesione post-2013.
Come evidenziato nella relazione del Ministro per la coesione territoriale alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato del 6 dicembre 2011, l’Italia ha accumulato un grave ritardo nella spesa delle risorse messe a disposizione dai Fondi Strutturali, ritardo che la pone al penultimo posto tra gli Stati Membri, dietro la Romania, con una percentuale di pagamenti eseguiti al 31 dicembre 2010 pari al 7,4%.
Tenuto conto che la programmazione 2007-2013 si sta avviando alla fine, e che abbiamo circa un anno e 10 mesi per impegnare le risorse destinate all’Italia, diventa essenziale lo strumento della riprogrammazione sotto il coordinamento nazionale.
Ma la riprogrammazione non può essere soltanto utilizzata quale meccanismo per sottrarsi alla perdita delle risorse e all’applicazione della regola del disimpegno – vedi la possibilità di finanziamento di grandi progetti – ma deve esser fortemente incentrata, così come hanno recentemente chiesto il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo, sulle priorità dell’azione politica europea: crescita e occupazione.
Si rende, pertanto, necessario, che la suddetta riprogrammazione venga orientata al fine di dare un forte impulso alla crescita della nostra economia, attraverso il sostegno alle Piccole e medie imprese, vero motore della nostra economia e fonte dell’85 per cento dei nuovi posti di lavoro creati in Europa dal 2002 al 2010, ed il finanziamento di ricerca e innovazione, aumentando concretamente la capacità competitiva delle nostre imprese.