Chi ha paura della Chiesa?

Nonostante il cambio di guida avvenuto nell’ultimo Congresso, il Partito socialista spagnolo, spiega FERNANDO DE HARO, non riconosce ancora il valore positivo della laicità

Sepolto. Zapatero è stato sepolto questo fine settimana, quando i socialisti spagnoli hanno tenuto il loro XXXVIII Congresso per eleggere il nuovo Segretario generale. La nomina di Alfredo Pérez Rubalcaba, l’uomo sconfitto alle elezioni del 20 novembre, l’uomo che ha fatto perdere al suo partito quasi cinque milioni di voti, ha una sola spiegazione. La sua rivale, Carmen Chacón, era l’erede designata da Zapatero. E oltre la metà di un socialismo malridotto, con un gruppo parlamentare ridotto, senza più egemonia a livello locale, non ne vuole sapere più niente delle buone parole e dei risultati nefasti di Zapatero. Solamente questo spiega il fatto che lo sconfitto Rubalcaba sia diventato il leader del partito.

Un addio definitivo al nichilismo e al radicalismo politico anche a sinistra? No. come una gomma da masticare, lo zapaterismo è rimasto attaccato alla suola delle scarpe socialiste su una questione essenziale. La sinistra spagnola non vuole modernizzarsi in tema di laicità. Nella sua visita a Santiago de Compostela, Benedetto XVI ha indicato la Spagna come luogo privilegiato per un dialogo tra fede e modernità. E la politica fa parte della modernità. Ma il Rubalcaba che ha seppelito Zapatero resta anticlericale.

Sabato, nel suo discorso prima di essere eletto, ha chiesto che siano denunciati gli accordi tra Stato e Chiesa affinché la Chiesa spagnola smetta di “godere di privilegi”. Gli accordi Chiesa-Stato, che hanno sostituito nel 1979 il concordato franchista, sono già stati modificati. Precisamente dopo che nel 2006 il Governo Zapatero, in cui c’era anche Rubalcaba, propose e ottenne un cambiamento sostanziale nel finanziamento della Chiesa. Fino ad allora, la Chiesa spagnola era in gran parte stata finanziata attraverso una specifica voce di budget. Da allora, è diventata autonoma e si finanzia attraverso lo 0,7% delle imposte sul reddito dei cittadini che vogliono sostenerla.

È stato un cambiamento molto favorevole, che non è stato possibile ai tempi di Aznar. Ma, nonostante i fatti, il socialismo spagnolo rimane ancorato nel suo rifiuto a riconoscere l’importanza della laicità positiva, non vuole ammettere il beneficio che teoricamente avrebbe lo Stato da una collaborazione con la Chiesa cattolica, grazie al suo contributo sociale e all’arricchimento che genera nella vita democratica.

La Costituzione spagnola del ’78 riconosce questa laicità positiva, perché all’articolo 16.3 parla esplicitamente della collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica. Nella prima stesura del testo costituzionale del gennaio ‘78, il riferimento alla Chiesa cattolica non c’era: fu aggiunto nel maggio dello stesso anno. E i socialisti lasciarono l’assemblea costituente per protestare contro il cambiamento e, curiosamente, per cercare di eliminare un’altra frase che garantiva la libertà di educazione. Il 7 luglio 1978, quando si scatenò il dibattito nella Costituente, i socialisti cercarono ancora di eliminare il riferimento alla collaborazione con la Chiesa cattolica. E furono i comunisti, guidati da Santiago Carrillo, l’uomo che aveva perseguitato la Chiesa nella Seconda Repubblica, a difenderlo.

Carrillo diede questa spiegazione: “Se abbiamo votato in favore del testo non è perché siamo disposti a dare qualche privilegio speciale alla Chiesa cattolica […]. Mi sembra che ci sia semplicemente il riconoscimento del fatto che in questo Paese la Chiesa cattolica, per il suo peso tradizionale, non possa essere paragonata, quanto a forza sociale, con le altre confessioni ugualmente rispettabili”. Realismo, realismo comunista. Che tornino i comunisti del ‘78!

In questo dibattito c’è anche una frase dello scomparso Gabriel Cisneros, uno dei padri della Costituzione, che merita di essere ricordata: “Il fatto religioso non solo non si consuma nella sfera individuale, ma si realizza e raggiunge la sua effettiva dimensione in campo sociale, comunitario, vale a dire in ciò che è inesorabilmente pubblico”. I socialisti potranno essere più o meno disponibili al dialogo tra fede e modernità. Vedremo se le cose un giorno cambieranno. Ma forse la cosa più importante è che i cattolici spagnoli capiscano che hanno davanti un cammino per fare proprire le parole di Cisneros: il fatto religioso ha una dimensione comunitaria e pubblica. A questo è chiamato, se è reale, e non a un mero esercizio di pietà o a un fenomeno ghetto; a formularsi, a spiegarsi in modo che sia comprensibile per tutti, in un modo universale. Con questo esercizio la fede, data in molti casi per scontata, porterà buoni frutti.

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