Il ritorno ai prefetti evocato da Sergio Romano con l’editoriale sul Corriere della Sera (C’era una volta il federalismo) ha lasciato allibite parecchie persone. Non solo allibite, ma anche seriamente preoccupate da una certa piega che sembra assumere il dibattito.
C’erano una volta i Prefetti, verrebbe da ribattere: ben altre stagioni della nostra storia si sono caratterizzate dallo sfavore verso le autonomie territoriali. Fu durante il fascismo che gli Enti locali vennero ridotti a meri enti ausiliari dello Stato, gli organi elettivi comunali e provinciali soppressi e sostituiti con Podestà e Presidi di nomina governativa. Per questo l’Assemblea Costituente con l’art. 5 della Costituzione (principio autonomista) volle segnare una soluzione di continuità rispetto al centralismo del periodo precedente e si ristabilì subito (1946) l’autonomia politica dei Comuni.



Affermare che gli Enti territoriali, salvo qualche eccezione, servono solo “a organizzare festival, a presidiare aziende di pubblica utilità e ad assumere nuovi funzionari”, suona davvero un po’ troppo forte da digerire per chi crede nella sussidiarietà e nella democrazia.
Dobbiamo rimangiarci tutto Toqueville e tutta la dottrina sociale, tornando così al giacobinismo o peggio ancora, solo perché siamo in un momento di emergenza economica, o possiamo pensare che ha invece ragione il presidente Napolitano quando afferma che attuare il federalismo fiscale è un dovere costituzionale?



Da democratici convinti ci piace di più la seconda ipotesi. E forse a partire da questa ipotesi che si può rileggere tutta la serie di fatti evocata da Romano per giustificare il ritorno ai Prefetti.
Che l’Imu così come è stata configurata non possa essere una soluzione definitiva lo afferma lo stesso Governo che l’ha prevista come sperimentale e suoi autorevoli esponenti in più occasioni hanno affermato che deve essere presto riportata a essere un’imposta solamente locale, con chiara distinzione tra quello che è statale e quello che è dei Comuni.

Sull’abolizione delle Province qualche riflessione può indurla il fatto che Valerio Onida, da presidente emerito della Corte costituzionale, abbia sollevato ben più di un dubbio sulla fattibilità dell’operazione con decreto legge.
Sulla sanità va considerato che in Italia a fronte di parecchie Regioni dissestate ce ne sono molte altre che hanno sistemi sanitari che si qualificano tra i migliori del mondo: nel complesso l’Italia è seconda tra i Paesi Ocse per qualità e undicesima per spesa.



Peraltro, chi scrive ha avuto modo di raccontare in più occasioni quali sono i difetti del federalismo italiano, avendone avuto cognizione diretta nell’ambito della Presidenza della Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale.

Forse i difetti, in certe situazioni, sono anche più seri di quelli indicati da Romano, ma voler buttare il bambino con l’acqua sporca è una reazione decisamente sproporzionata e soprattutto anti democratica. Così come sostenere, in modo manicheo, che il ritorno al centro (ma davvero è senza difetti?) sia l’unica medicina.

La soluzione, più realisticamente, ha un nome, che si coniuga bene con i principi di democraticità e di sussidiarietà: si chiama “responsabilità”. E a questo valore che tende tutto il cammino del federalismo fiscale, con i suoi otto decreti legislativi, raddrizzando l’albero storto della finanza pubblica. A vantaggio di tutti.