Strano destino, quello di Joseph Ratzinger, con addosso un pontificato che viene continuamente confrontato con quello del suo predecessore. Ma quel riconoscimento alla sua statura di Papa che in Italia non arriva, bloccato dagli Opinion Maker che non si accorgono che alle sue udienze e Angelus accorrono più persone di quelle che arrivavano per ascoltare Wojtyla, esplode nei viaggi all’estero. A Cuba, la tappa più delicata del suo viaggio in America Latina, vedo folle mobilitate in ogni tratto del suo percorso, c’è persino chi sale sugli alberi per vederlo passare, e se la cosa aveva già sorpreso nel cattolicissimo Messico (smentendo chi diceva che non avrebbe conquistato i cuori come Giovanni Paolo II), lascia stupiti nella comunista isola dei Castro.

E anche il rapporto con il regime castrista è improntato a una abilità diplomatica affinata negli ultimi anni, anche questa non abitualmente riconosciuta.

“Il comunismo è superato, occorre allargare gli orizzonti” ha detto il Papa ai giornalisti nell’aereo che lo portava a Cuba. Un segnale chiarissimo, ma non pronunciato sul suolo cubano, per evitare problemi. Atterrato all’aeroporto, dove i cannoni hanno sparato a salve, i bambini gli portavano fiori, le bandiere cubane venivano sventolate assieme a quelle vaticane, ha dimostrato cautela, ma i segnali sono stati altrettanto chiari. “E’ un momento importante per la Storia di Cuba” ha detto a Raul Castro, con riferimento velato alla difficile transizione con il fratello Fidel, “e Cuba deve ampliare i suoi orizzonti”. Poi un accenno, non sfuggito ai cubani, ai dissidenti fuggiti a Miami, dall’altra parte del mare, in cerca di libertà: “Saluti gli abitanti di questa isola – ha detto – e tutti i cubani, lì dove si trovano”.

Il compito politico e religioso che Ratzinger si è dato per questo viaggio, è quello di far compiere passi avanti alla democratizzazione dell’Isola, con l’ampliamento del riconoscimento sociale della Chiesa. Che da anni svolge un lavoro prezioso e intelligente, e che la visita di Giovanni Paolo II di 14 anni fa aveva rinforzato. “Quel viaggio fu una ventata d’aria fresca” dice Ratzinger al presidente mentre il vento gli scompiglia i capelli e gli solleva la mantella bianca e “ha inaugurato una nuova fase dei nostri rapporti”. E nel colloquio a porte chiuse con Raul nel palazzo presidenziale, di poche ore fa, quando in Italia era notte, Benedetto XVI ha offerto la collaborazione sincera della Chiesa per sostenere il cammino di Cuba, per rilanciare con più vigore la sua immagine internazionale (il Vaticano si è sempre opposto all’Embargo voluto dagli Stati Uniti, ritenuto un crimine per i danni umani che comporta sulla popolazione), e per compiere insieme, Stato e Chiesa, un processo per il bene di Cuba e dei suoi abitanti.

“Le radici di Cuba sono cristiane, non vanno dimenticate” aveva detto ricordando tra gli altri quello che è il padre a cui fece riferimento la Rivoluzione Cubana e i cui ritratti e monumento sono sparsi ovunque nell’isola, Josè Martì. E per Cuba ha pregato ieri di fronte all’Immagine della Madonna della Carità del Cobre, ritrovata da Indios e schiavi 400 anni fa e che è sempre stata al centro dei sommovimenti sociali di Cuba: davanti alla Vergine venne letta la prima Dichiarazione d’Indipendenza degli schiavi delle miniere, e venne portata alla Messa celebrata in Placa de la Rivolucion dopo la presa di potere di Castro.

Segni che colpiscono il cuore non solo dei cattolici, ma anche di chi, a Cuba, per decenni ha osteggiato la Chiesa.

Ma adesso, mentre Fidel al tramonto gestisce la transizione di un potere durato cinquanta anni, è il tempo – chiede il Papa – che qualcosa di nuovo nasca all’orizzonte. Mantenendo le giuste aspirazioni di uguaglianza e libertà che avevano infiammato i cuori al tempo della Rivoluzione, ed eliminando le contraddizioni in cui il regime si è involuto.

Alla messa a Santiago di Cuba, il Papa alzava l’ostia sull’altare, mentre l’oscurità iniziava ad avvolgere la gigantesca immagine di Fidel. Una metafora di questo viaggio, come quelle braccia stese da Ratzinger a Raul Castro all’arrivo all’aeroporto, prima di una lunghissima stretta di mano.