«L’imperatore si rivolse ai cristiani dicendo: Strani uomini…». Ci stiamo avvicinando all’epilogo del Racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ëv, citato quest’anno nel volantone di Pasqua di Comunione e liberazione; l’imperatore ha ormai il sicuro dominio sull’umanità intera, tutti sono ai suoi piedi. Gli restano da regolare i conti con una manciata di «strani uomini». Di fronte a loro l’imperatore sembra sinceramente perplesso; proprio non riesce a capire cosa vogliano; alla massa dei loro compagni di religione egli ha concesso ciò che maggiormente desideravano – istituti di libera ricerca biblica e teologica ai protestanti, possibilità di ricche liturgie agli ortodossi, valorizzazione dell’autorità romana ai cattolici – e loro hanno accettato di buon grado e son passati al suo servizio. Come mai, al contrario, questo piccolo rimasuglio non si sottomette alla sua autorità?

Ma chi è l’imperatore? Per capirlo basta fare attenzione alla sua irritata domanda: «Cosa avete di più caro?». Il termine «caro» indica ciò cui si riconosce un grande valore (utilizziamo la parola anche per definire una grandezza economica) e a cui quindi si è legati affettivamente (una persona che ci sta a cuore ci è «cara» ed esprimiamo l’importanza che ha per noi con una «carezza»). Caro è dunque ciò che vale e il «più caro» è ciò che vale così tanto che per esso si può rinunciare a tutto il resto, perché tutto il resto solo in esso ha senso. L’imperatore è quell’invisibile e concretissimo modo di pensare che ci ha convinti che in fondo di autenticamente «caro» – e a maggior ragione di «più caro» – non c’è niente.

Non c’è nell’ordine della conoscenza: ognuno la pensi come vuole, tanto nessuna posizione è meglio di un’altra, se non per il momentaneo successo di cui gode per benevola concessione dell’imperatore stesso; e del resto il «più caro» – la verità – non esiste o per lo meno non vale la pena di cercarla. Non c’è nell’ordine dell’affezione: è sciocco inseguire legami stabili, affezionarsi troppo; basta la soddisfazione immediata. E, per raggiungerla, ognuno si arrangi come preferisce, tanto tutti i rapporti inesorabilmente passano e chi è caro oggi non lo sarà domani, per cui il «Caro» che gli dico oggi è una menzogna e la «carezza» che gli faccio un puro contatto epidermico.

Oggi come ai tempi di Solov’ëv la più grande, inquietante e affascinante stranezza è che ci siano uomini, invece, che sappiano rispondere, con dolcezza: «Grande imperatore! Quello che abbiamo di più caro è…», uomini per cui c’è il vero e si può amare per sempre. Ma la domanda dell’imperatore è più specifica: «Cos’avete di più caro nel cristianesimo?».

Qui Solov’ëv ci ricorda che anche nell’ordine della fede ci si può lasciar sviare da elementi secondari: le interpretazioni, i valori, le modalità aggregative, i sentimenti intimi, gli sviluppi culturali, le capacità realizzative, il riconoscimento sociale, gli sforzi morali. Tutta roba che non mette in discussione il nichilismo del pensiero imperiale e che non lo disturba nel suo predominio.

Anche in questo caso la miracolosa stranezza è che ci siano uomini che possano usare un preciso nome di persona da dire dopo «ciò che abbiamo di più caro è…».