Eliot ha scritto nei primi versi del suo poema La terra desolata: “Aprile è il mese più crudele, genera lillà da terra morta, confondendo memoria e desiderio”. Ora la descrizione del poeta si è compiuta. Aprile è stato il mese più crudele per la Spagna dal maggio del 2010, quando il Paese è stato sul punto di essere commissariato. La crudeltà maggiore è che di fronte alla nuova fiammata della crisi, di fronte alla sofferenza imposta da un euro debole, la memoria è vuota, si confonde con l’ideologia.
Il mese è cominciato con i postumi di uno sciopero generale che non si è rivelato fallimentare e con la sconfitta del Partito popolare, contro tutti i pronostici, nelle elezioni andaluse. Una percentuale non insignificante di spagnoli – che solo cinque mesi prima avevano garantito a un governo di centrodestra la maggioranza assoluta per governare il Paese – ha respinto la politica di austerità. Manca la memoria di una prosperità costruita dalla generazione degli anni ‘50 e ‘60. La società del benessere è spesso considerata acquisita e non il frutto di una conquista continua.
Il governo sistema i conti e presenta il bilancio troppo tardi. Aprile è il mese in cui la sfiducia è tornata sulla Spagna come mostra il fatto che lo spread è salito oltre i 420 punti base. Sfiducia vista la situazione del sistema finanziario. Sfiducia perché l’esecutivo di Rajoy non è stato troppo duro con il bilancio, non toccando le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici. E così la Spagna è la vittima più evidente di quello che gli economisti americani criticano tanto nella politica dell’Eurozona: lo short sharp shock, un taglio forte e rapido.
È la ricetta che ha imposto la Merkel e che si è trasformata in un circolo vizioso: si attacca il debito spagnolo perché si ritiene che i tagli siano insufficienti per risanare i conti ed eccessivi per consentire la ripresa. Solo la politica dei prestiti a basso interesse della Banca centrale europea ha permesso di fermare la caduta. Ma il cancelliere tedesco rifiuta di far agire la Bce come la Federal Reserve e non vuole che si compri il debito dei paesi in difficoltà. Un euro a metà è una tortura per gli spagnoli.
In questo sfavorevole contesto macroeconomico si capisce quel Eliot intende con “città irreale”. Una città in cui, “sotto la nebbia bruna di un’alba d’inverno,
Una gran folla fluiva sopra il London Bridge”; folla in cui “ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi”. La metafora usata da Eliot per descrivere il pregiudizio dell’ideologia l’ha spiegata in prosa qualche giorno fa José Sacristán, uno dei referenti del mondo progressista. “La sinistra – ha affermato l’attore – insiste su slogan e posizioni obsolete. Così siamo costretti a ricorrere a un senso critico implacabile”. E quello che vale per la sinistra, vale anche per la destra.
Il senso critico, al di là di ogni schema ideologico, è l’unico che può riportarci alla realtà. Ed è quello che ci serve perché la memoria di ciò che è stata la Spagna e il desiderio di costruire la prosperità futura dispieghino tutta la loro energia. Le sfide e i sacrifici sono reali, ma è reale anche la possibilità di costruire insieme, di cercare opportunità, di imparare, di aprirsi nuovi mercati, di cominciare una nuova vita, di rafforzare la fiducia reciproca.
Reale, molto reale, è l’esigenza che la nostra vita abbia un significato, che sia amata da un amore più forte della morte. E questa esigenza è anche una categoria economica. Reali sono l’energia sociale e la carità, ancora presenti, che fanno sì che la disintegrazione del popolo non sia totale.