La Spagna ha vissuto una settimana da vertigini. Il risultato delle elezioni in Andalusia mostra un ampio rifiuto sociale delle riforme intraprese dal Governo. Lo sciopero generale ha avuto poche adesioni, circa il 20%, ma il sostegno politico che ha ricevuto dall’opposizione e dalle massicce manifestazioni sindacali ha fatto capire che esiste un’intensa polarizzazione.

Le scene di violenza urbana da parte di gruppi “anti-sistema” che a Barcellona hanno provocato danni per 500.000 euro, mostrano l’esistenza di un nichilismo che utilizza forme di espressione molto vicine al terrorismo. Non è un caso che questi fenomeni sembrino apparire laddove si nasconde un grande fallimento scolastico sotto il manto di una falsa tolleranza.

Tutto questo è accaduto mentre il Paese è tornato sull’orlo del precipizio e si è parlato, un’altra volta, di un possibile intervento. Bruxelles e la Germania chiedono più tagli e riforme. E per rispondere il governo ha approvato il budget più austero della storia della democrazia, con profondi tagli che cambieranno molte cose. Eppure le istituzioni europee non sono tranquille.

Alcuni esperti dicono che non vanno tagliati 27 milardi di euro, come è stato fatto, ma ben 50. Il Governo è sulla strada giusta, anche se dovrebbe accelerare il passo dei cambiamenti e, soprattutto, spiegare e far capire che non ci sono alternative. La politica non è solamente gestione, come spesso si pensa a destra.

La Spagna è probabilmente di fronte al momento storico più complesso dal ritorno alla democrazia. E il suo punto debole non è il debito privato, la mancanza di un chiaro modello competitivo ed energetico o l’obsoleta regolamentazione delle relazioni industriali. Tutti questi sono problemi gravi. Ma il punto più debole è l’ideologizzazione che colpisce la società.

Non è la vecchia ideologia forte, di cui restano poche tracce, ma un’altra di questo inizio di XXI secolo. Una specie di disincanto che si è trasformato in cinismo e che si rifà a vecchi schemi. Questo è ciò che impedisce l’incontro tra uomini, che fa sì che nelle relazioni commerciali, lavorative e persino familiari domini la sfiducia. Quando è evidente, per esempio, che il welfare è insostenibile sembra molto difficile un dialogo sereno su ciò che possiamo fare. I liberali chiedono più mercato e i socialisti che non ci sia meno Stato. E tutto sembra finire qui.

Diceva tempo fa Luigi Giussani che bisogna scegliere tra due posizioni: o si costruisce a partire dal compromesso nel presente oppure si parte da una concezione prestabilita e da un programma ideologico. Questa è l’alternativa che si trova davanti la Spagna. In altre epoche è stata presa la strada giusta. Per esempio, quando sono stati firmati i Patti della Moncloa (sottoscritti nel 1977 tra le principali forze politiche prima che entrasse in vigore la nuova Costituzione, ndr). O quando alla fine degli anni ‘50 banchieri, industriali, agricoltori, centinaia di piccole imprese e lavoratori sono stati in grado di modernizzare la nostra economia. Grazie al desiderio di crescita, di benessere del popolo.

La dinamica del desiderio, a differenza della dinamica ideologica, permette di riconoscere i fattori di cambiamento (che sono molti) già presenti in Spagna. Ecco alcuni esempi. Il calo della conflittualità del lavoro segnalato dall’istituto nazionale di statistica può essere un indicatore dell’aumento della corresponsabilità all’interno delle imprese. E questo è un grande valore. Un altro valore di grande importanza economica, che non si è soliti prendere in considerazione a causa di pregiudizi, è la solidarietà primaria nell’ambito della famiglia, che mantiene la pace sociale nonostante gli altissimi tassi di disoccupazione. Oppure l’energia sociale che ha generato opere di carità e ha costruito un sistema di welfare, dal basso, per fornire servizi nella sanità e nell’istruzione. La lista è lunga e conviene ripassarla in dettaglio.

In questa grande sfida che chiama, di nuovo, tutto il Paese, i cristiani possono offrire il nostro contributo nella misura in cui sono fedeli alla propria esperienza. Il cristianesimo quando si fa presente nella società secondo la sua vera natura non difende un’ideologia. Educa, potenzia, porta il desiderio verso il suo obiettivo. Da quando il cristianesimo è sorto in Palestina 2000 anni fa è stato caratterizzato dall’educare alla gratuità, fattore decisivo dello sviluppo; dall’insegnare un’apertura infaticabile alla realtà, senza la quale è molto difficile costruire una società sostenibile; dal promuovere la consapevolezza del fatto che l’altro, anche se la pensa diversamente, è essenziale per la vita di chiunque.