L’aspirazione all’unità vive nel cuore di ogni uomo. Fa parte della nostra natura il desiderio di essere in pace con gli amici, i colleghi di lavoro, le persone che ci stanno accanto, tant’è vero che nella vita le cose che più ci fanno soffrire coincidono spesso con la rottura o l’affievolirsi di legami significativi. I miti della filosofia classica ce lo ricordano continuamente: veniamo dall’uno e tendiamo all’uno.
L’esperienza dell’unità è qualcosa di molto profondo. Non è il semplice “essere d’accordo”. Ce ne rendiamo conto tutti i giorni: non basta pensarla allo stesso modo per essere una cosa sola. Al tempo stesso non bastano le nostre sole forze per costruire rapporti che durino nel tempo, che possano soddisfare la nostra sete di comunione.
Le pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento sono attraversate da questo grido: “chi ci ridarà l’unità perduta?”. Così risponde il vangelo di Giovanni: “Gesù stava per morire per radunare in uno i figli dispersi”. Cristo è l’uno, Colui nel quale si è realizzato ciò che a noi è impossibile: diventare un popolo, una cosa sola.
Ce lo dice la sua vita. Egli ha vissuto anzitutto in unità con il Padre, con il quale è stato perennemente in dialogo, nei momenti di gioia e di dolore. E poi in unità con gli uomini: ha pianto per i suoi amici, ha gioito insieme a loro per i prodigi che compivano nel suo nome. Nessuna esistenza gli è stata estranea, anche sulla croce: “Oggi sarai con me, in paradiso”, dice al ladrone pentito.
I santi che ancor’oggi nascono in mezzo a noi, sono, con la loro vita, la testimonianza che l’opera di Cristo continua nella storia. Uomini e donne che sentono la propria esistenza legata nel profondo a quella di ognuno, che soffrono e gioiscono con noi. Uomini che perdonano e ricominciano. Uomini come noi, capaci di tutto questo perché aperti al dono dello Spirito, a tal punto da rivivere la vita stessa di Cristo. Questa è la Resurrezione: il realizzarsi di un popolo unito.
(Luca Speziale)