Non scoraggiarti Italia, dice il Papa. E’ come se fosse stato con me, stanotte in uno dei tanti viaggi notturni che mi portano su vagoni stipati, stazioni piene di spettri, ragazzi maleducati, facce d’angelo e apparizioni di beltà. In un ventre dolente d’Italia. Lui dice: abbi coraggio, in questa crisi che avanza e che viene – lo ha ripetuto – dal cuore, non dai listini di borsa. Ma appunto riprendere cuore, rifarsi cuore. Coraggio. Come si fa? Quando il cuore crolla – più della borsa – vedendo il numero dei suicidi che aumenta, i segni di irresponsabilità maiala di capi dei media, che s’allarga al popolo che pensa: tanto non c’è niente da fare, tutti ladri sono, tutto schifo… Come si fa a non cedere a quello che il grande Baudelaire – poeta di tutte le crisi e di tutte le bellezze possibili – chiamava: l’avvilimento del cuore, indicandolo causa primaria delle crisi dei sistemi. Rifarsi coraggio, opporsi all’avvilimento. E’ questa la cosa più dura, non solo di notte in stazione, ma anche incontrando sui binari alle 8 le facce risentite di quelli che lavorano senza soddisfazione. O quelli di coloro che non sanno più perché fare fatica, spostare qualcosa che è inciampo agli altri. La malora.
L’ho chiamata così nei mesi scorsi. In una poesia di 7 anni fa presentivo come un lupo che non ci saremmo trovati in un bello spettacolo. L’avanzare della malora moltiplica i “ring”, gli scontri. I risentimenti. E allora il Papa nella meravigliosa Arezzo dice: abbiate coraggio. Lo dice da lì, dalla città che custodisce alcuni dei tesori più alti e impagabili della nostra storia. Nati dal coraggio di artisti e signorotti che non erano certo stinchi di santo, ma non avevano il cuore avvilito. Il Papa che porta il nome dell’uomo che affrontò la più grande Crisi della storia, dopo la fine dell’impero romano, e la affrontò armato di poche parole nella sua Regola (c’è un uomo che ama la vita e desidera giorni felici?) da Arezzo ci dice: rifatevi il cuore. Perché ve lo siete fatto mangiare. Ve lo siete fatto diventare di nebbia. Lo avete avvilito. Rifatevi cuore, ci dice. Ma se si fermasse a dire così, se si fermasse a questo sacrosanto appello, sarebbe quasi meglio che tacesse. Sarebbe meglio che smontasse dal podio e tacesse. Come sarebbe meglio che tacessero quelli che al nostro popolo avvilito lanciano appelli d’ottimismo. E richiami, e predicozzi. Si facessero un viaggio in treno di notte. Tacessero. E anche il Papa, se non fosse che lui non si ferma a dire: coraggio.
Dice anche da dove provare a rifare il cuore. Lo ha detto lui, lo ha detto Arezzo con le sue magnifiche facciate, le sue opere di Piero della Francesca, i suoi palazzi, le sue vie, le sue belle campagne e pievi sperdute, le sue belle donne, le sue opere di carità, lo ha detto il Papa con tutta Arezzo intorno. Ha detto guardate la storia cristiana. Guardate dove c’era e dove c’è cuore. Perché il coraggio non ce lo si dà da soli. Lo si imita da qualcuno. Lo sa chiunque in battaglia (e questa è una battaglia). Lo si prende, lo si supplica con gli occhi. Lo si cerca nella malora. E lo si trova. Perché un cuore coraggioso lo trovi sempre se lo cerchi. Benedetto ci ha detto cosa si può fare. Non ha fatto solo una predica. Lui e la splendida Arezzo hanno parlato chiaro. Ci hanno dato cuore.