La tragedia di Brindisi e l’anniversario della strage di Capaci stanno riproponendo alla nostra attenzione, oltre alle ovvie problematiche penali, la presenza di una situazione di illegalità diffusa che coinvolge molte zone del Paese impedendo lo svolgimento di una ordinata convivenza. Ad essa si intende reagire riproponendo con forza il tema della legalità come condizione da ripristinare sia nei fatti sia, soprattutto, nelle coscienze.
E’ pertanto importante chiedersi come si può giungere ad un simile duraturo ripristino che consenta di vivere in pace e di muoversi verso un progresso stabile, quanto mai necessario in questo tempo di crisi.
A questo scopo sono state messe in atto manifestazioni di ogni genere, volte appunto a manifestare la necessità del rispetto della legge; si tratta di prese di posizione quasi spontanee della gente, scesa in piazza per mostrare tutto lo sdegno per azioni non solo criminali ma anche contrarie al più intimo bisogno di giustizia che alberga nei cuori e nelle realtà sociali. Oltre a questo tipo di manifestazioni, altre ne sono comparse, più istituzionali, più organizzate, mirate a portare questo bisogno nei luoghi che sono assurti a simbolo e della criminalità organizzata e dei tentativi delle istituzioni di reagire alle scelte criminose di quest’ultima con gli strumenti del diritto.
Inoltre, nella consapevolezza dell’insufficienza delle manifestazioni, da più parti si evoca la necessità di educare alla legalità, mostrando alle giovani generazioni la convenienza del rispetto della legge come fattore di ordine, condizione per lo sviluppo della società.
Ubi societas ibi ius, siamo abituati a ripetere sulla scorta dell’esperienza dei nostri antenati romani, con ciò segnalando non solo il legame inscindibile tra convivenza e norme regolatrici della stessa, ma anche la necessità di un fondamento sostanziale per il vivere civile, quello ius che non è solo ottemperanza formale alla norma ma anche, e soprattutto, interiorizzazione di principi e valori che stanno alla base dell’obbedienza in quanto tale, cui offrire ferma e convinta adesione.
Su entrambi questi due aspetti della legalità occorre convenire, chiarendo che il primo – la legalità formale – si fonda sul secondo, il quale a sua volta pesca in una cultura che mette al centro della riflessione il pensiero sull’uomo, sulla sua origine e sulla sua natura.
Spesso, invece, il richiamo alla legalità nasconde un vuoto di motivazioni e di contenuti, quasi che la mera ottemperanza, spesso impossibile in un ordinamento dalle molteplici e multiformi regole, stratificatesi nel tempo e fonte di disordine generalizzato per la loro intrinseca, inevitabile irrazionalità, sia, in sé, garanzia di giustizia; occorre invece smascherare ogni forma di automatismo nella ricerca della giustizia e riprendere la consapevolezza che l’obbedienza alla legge implica un insieme di fattori tra i quali va centralmente annoverata l’adesione formale ed esterna senza che essa vada disgiunta dalla ricerca della ratio legis, degli scopi e delle finalità che non la singola norma ma l’ordinamento nel suo insieme persegue.
Nessuna norma, infatti, è tanto chiara da non implicare la ragione e il senso di giustizia dell’uomo che, per applicarla, la interpreta. Ciò conduce a riconoscere l’ultima valenza umanistica del diritto, quale fonte della legalità, sapere tecnico che tuttavia non può mai andare disgiunto dalla tensione a fare di questa tecnica strumento di giustizia.