In Spagna, la scorsa settimana è stata piena di contrasti. Mercoledì, i sindacati, sostenuti dalla sinistra, hanno scioperato nel settore dell’istruzione per protestare contro i tagli. E sabato sono stati resi noti i dati sull’importo necessario a salvare la quarta istituzione finanziaria del Paese. La spesa pubblica per l’istruzione è stata ridotta di 3 miliardi di euro e l’iniezione di denaro necessaria per salvare Bankia ammonta a 19 miliardi, cui vanno aggiunti i 4,5 già dati sottoforma di prestiti convertibili in azioni.
È il volto più brutale della crisi, in un Paese dove il tasso di disoccupazione viaggia verso il 25%. Sembra assurdo che ci sia più denaro per salvare le banche e meno per l’istruzione. Ma ciò non vuol dire che le proteste, così come sono state fatte, siano un bene. Lo statalismo, infatti, non è mai un buon amico.
La difficile situazione finanziaria di Bankia è il risultato di una lunga serie di errori, alcuni venuti da lontano e altri più recenti. Il primo è la bolla immobiliare, che in Spagna non ha avuto i subprime, ma una grande quantità di crediti a società immobiliari fallite, che sono stati coperti con altri crediti (circa 140 miliardi di asset tossici). Il secondo deriva dal fatto che alcune casse di risparmio nate dall’iniziativa sociale si sono trasformate in coorti dei partiti politici, sia di destra che di sinistra: la partitocrazia è stata come un cancro. Il terzo è stato il governo di Zapatero, che ha permesso che il “buco” aumentasse.
Il quarto è stata la scelta del Governo Rajoy di permettere a Rato (l’ormai ex presidente di Bankia, legato al Partito popolare) di continuare a restare al comando, pur sapendo che non sarebbe stato in grado di cambiare la situazione. Pochi giorni fa il ministro dell’Economia ha detto che il risanamento di tutto il sistema finanziario avrebbe richiesto solamente 15 miliardi di euro, ma il conto per la sola Bankia è già arrivato a quasi 24 miliardi. È vero che Rajoy sta intervenendo, ma negli ultimi tempi sta arrivando troppo tardi.
Il quinto è dovuto a una Banca di Spagna piegata alle considerazioni politiche. Il servizio di vigilanza sapeva perfettamente quello che stava accadendo, ma aveva le mani legate. Ora non c’è altra scelta che spendere questi soldi. Come è successo a suo tempo a Obama che ha speso 40 miliardi di dollari per il salvaltaggio e la nazionalizzazione parziale di Citi o alla Merkel che ha sborsato circa 20 miliardi di euro per aiutare Commerzbank. Nel caso del Regno Unito, si stima che il governo abbia speso 155 miliardi di euro nel salvataggio di Northern Rock, Royal Bank of Scotland e Lloyds. Quindi non si tratta di un’operazione “nuova” e non sarebbe scandalosa. Ma questo non la rende meno dolorosa.
Ma attenzione, perché se ciò che in parte ha affondato il sistema finanziario spagnolo è stato lo statalismo partitocratico, chi protesta contro i tagli all’istruzione rivendica uno statalismo ugualmente maligno, se non peggiore, quello dell’“istruzione pubblica”. Gli interventi del governo nell’istruzione chiedono fondamentalmente che i professori passino da 18 a 21 ore di lezioni settimanali e che il rapporto di studenti per classe aumenti del 20%. Non sono cose buone. Ma c’è un problema di fondo di cui nessuno sembra voler parlare: il modo in cui si spende il denaro. La Spagna ha un livello di spesa nell’istruzione simile a quello della Finlandia, ma quest’ultima è uno paesi che ha le performance migliori secondo i dati Ocse, mentre i risultati degli studenti spagnoli sono a metà della graduatoria.
In buona misura la differenza si spiega con la mancanza di autonomia delle scuole. Gli economisti Hanushek e Woessmann, nei loro recenti studi, hanno dimostrato che all’aumentare dell’autonomia cresce anche la qualità. E proprio questo è uno degli aspetti che rende più debole la Spagna. È il Paese dell’Ue in cui le scuole pubbliche hanno meno indipendenza dopo la Grecia. Detto in altri termini, il denaro speso per l’istruzione in Spagna non viene speso bene, perché il sistema è chiuso alla sussidiarietà: è troppo centralizzato e non permette alle scuole la libertà, tra le altre cose, di selezionare e motivare il corpo docente secondo le proprie esigenze.
Il carico didattico degli insegnanti nelle scuole paritarie, dove i salari sono minori, è maggiore e i risultati sono migliori. Sono scuole cui, su alcuni aspetti, è data la possibilità di scegliere. Se questa crisi ci insegnerà a essere meno statalisti, a spendere meglio, avremo imparato molto.