Un colpo alla speculazione

Ci sono molte cose da cambiare per uscire dalla crisi. E una delle più decisive ha a che fare con la questione antropologica che sta alla base del salvataggio bancario spagnolo

Il salvataggio della Spagna sarà “su misura”. Alla fine Bruxelles ha ammorbidito la sua posizione in modo che sia il Meccanismo europeo di stabilità (Esm) a iniettare liquidità nelle banche spagnole, senza dar vita a un salvataggio totale come quello che c’è stato in Portogallo, Irlanda e Grecia. Nonostante le resistenze di Olanda e Finlandia, Rajoy è riuscito a ottenere una linea di credito che può arrivare fino a 100 miliardi di euro. Una cifra più che sufficiente, dato che il Fondo monetario internazionale stima che le banche spagnole, nel peggiore dei casi, avranno bisogno di 40 miliardi.

È una buona notizia che non vengano prescritte condizioni di politica economica. Anche se queste misure sono in realtà già imposte, perché Bruxelles ha chiesto l’aumento dell’Iva, modifiche sull’Irpef e un maggior controllo sui conti delle Comunità Autonome. Si guadagna comunque tempo di fronte ai mercati e si pongono le premesse per un risanamento serio.

Il salvataggio delle banche è un successo per la costruzione definitiva dell’euro. La Banca di Spagna e i governi precedenti, in particolare quello di Zapatero, hanno una pesante responsabilità nell’aver lasciato crescere una bolla immobiliare che ha distrutto i conti delle casse di risparmio, senza che nessuno mettesse ordine. Il governo Rajoy sarebbe dovuto intervenire prima, con più forza e più chiarezza nella comunicazione. Tutti errori cui rimediare. Ma il fatto che l’Eurozona abbia saputo trovare una formula per risolvere un problema di liquidità settoriale – perché di questo si tratta – di una delle sue quattro principali economie è un importante passo avanti. Che presuppone il primato della politica sui mercati.

Con i 100 miliardi di prestito è stato mandato un messaggio chiaro agli investitori che guadagnano grandi cifre scommettendo al ribasso: dietro al debito spagnolo non c’è solo il Regno di Spagna, ma il governo nascente dell’euro. Persino Obama ha spinto, per puro interesse, perché si prendesse questa decisione. Non ci resta che continuare su questo cammino facendo altri passi. L’euro, infatti, è ancora in fase di costruzione e ha bisogno di più politica. Ha bisogno di una vera e banca centrale, disposta a comprare il debito quando necessario e ad abbassare il costo del denaro in un momento come questo.

In realtà, ci sono molte cose da cambiare. E una delle più decisive ha a che fare con la questione antropologica che sta alla base di questo salvataggio bancario. Il quale si è reso necessario perché un sistema finanziario senza controllo ha propiziato una bolla immobiliare che voleva far fuori l’essenza dell’economia reale. Come nel caso della crisi dei mutui subprime, la bolla spagnola si basava su un esercizio violento sulla capacità che ha il denaro nel generare sviluppo. C’è chi dice che è un problema di avidità. Si può usare questo termine, ma forse un qualificazione morale risolve troppo in fretta la questione.

In circostanze normali, il denaro genera rendimento in funzione di due variabili: il tempo trascorso e il processo di produzione a cui è associato e che supporta. Il problema delle bolle, siano esse finanziarie o immobiliari, è che accelerano artificialmente questo processo. Vengono forzate le cose perché il denaro generi rendimento in un tempo più corto, senza fare i conti con l’economia reale. Questo è il cuore della speculazione. Ma il tempo, prima o poi, ritorna al suo ritmo normale, e presenta il conto.

L’economia reale, di solito, si sviluppa linearmente e solo la vera innovazione accelera i tempi e risultati. Il boom del mercato immobiliare spagnolo ha cercato di accelerare il rendimento senza innovazione. La soluzione ora non è accontentarsi di meno sviluppo, ma di averne uno nuovo, con un vero progresso, basato sull’innovazione. Il nuovo, nell’economia, nell’arte o nella scienza, è sempre il frutto di un certo atteggiamento verso la realtà. Richiede un certo tipo di educazione e, naturalmente, di lavoro. L’educazione che incoraggia l’innovazione è quella in grado di riconoscere tutta la ricchezza che c’è nella realtà, per lasciarsi sedurre dalla sua positività, per intercettare i bisogni, per impegnarsi, per formulare soluzioni, per lavorare con fiducia insieme agli altri, per non imporre la misura stretta dei vecchi progetti. Non si tratta di limitare l’ambizione personale, né quella di un intero popolo, ma di dargli la sua forza reale.

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