Parlare in difesa della ragione, soprattutto in questi giorni, è la sola cosa sensata. E poiché questa cosa va fatta, è bene sapere, fin da principio che un simile atto richiede un certo coraggio, in un frangente in cui sembra sia diventato impossibile esprimere qualunque opinione divergente anche di un millimetro dalla tirannia dei luoghi comuni. È evidente che vogliono distogliere il nostro sguardo da qualcosa di molto grave, spronandoci a parlare di fatti senza importanza. A un certo punto, però, sembra che perfino discutere di quei fatterelli sia diventato impossibile.

Ne dico due. Insisto: sono sciocchezze. La prima è lo scandalo-Cassano. Pur giocando nel Milan, Cassano è un uomo più intelligente della media. Ha guadagnato abbastanza soldi da non doversi vergognare troppo della propria ignoranza, però quello che dice ha sempre un senso. In questi giorni la sua opinione sulla possibile presenza di calciatori gay nella nazionale italiana ha fatto il giro del mondo, suscitando uno scandalo annunciato.

Nel concerto per soli ottoni che ne è seguito mi hanno colpito le dichiarazioni di un presentatore tv gay, il quale, forse confortato dalla certezza che le sue parole sarebbero state collocate dalla parte giusta, e che la sua immagine di persona mentalmente aperta ne avrebbe tratto giovamento, ha pensato di rivelare la propria relazione con un calciatore, dimostrandosi molto bene informato circa la componente gay, bi e metrosexual nella nostra Nazionale di calcio.

Non m’interessa, qui, dare ragione all’uno e torto all’altro. Però, nel teatrino, Cassano fa la parte del cattivo e il tetro presentatore quella del buono. E questa è un’ipocrisia grande come una casa.

Io però dico che non conviene, nemmeno ai mezzi d’informazione più schierati, farla così facile, visto che facile non è. Basterebbe chiedere (a microfono chiuso) ai nuovi benpensanti se preferirebbero che il loro figlio maschio adolescente uscisse la sera con Cassano o con il presentatore, e sono sicuro che le percentuali della ragione e del torto cambierebbero di parecchio.

Non etichettiamoli come pregiudizi – parola di cui ho il sospetto ci sfugga completamente il significato. La questione è molto più profonda, e credere di risolverla cercando dispositivi di normalizzazione sociale è una pura utopia, perché questi non sono pregiudizi, in quanto richiedono una decisione di fondo circa la natura dell’uomo. E su questo, mi sia concesso, dobbiamo pretendere perlomeno il diritto alla discussione, perché nulla, nel dramma della vita, è indiscutibile. L’uomo ha la necessità di essere radicalmente persuaso, e per produrre persuasione, mi spiace tanto, ci vuole una sola cosa: la verità. Sissignori, proprio lei, l’esiliata da tutti i vocabolari civili.

La violenza superficiale dei media non serve. Anzi, sotto sotto cova la rivolta, così che possiamo svegliarci una bella mattina e scoprire, dopo trent’anni di buone maniere, che i cinquantenni sono molto meno omofobi dei ventenni. Ma della verità, e quindi della ragione, che è la sua umile contadina, non importa più nulla a coloro che vorrebbero indirizzare i pensieri della gente. Anche se lei continua a esserci, eccome.

E c’è, per esempio – secondo piccolo episodio – nella vicenda delle dimissioni del sindaco milanese Pisapia da commissario Expo. Tra i diversi modi a sua disposizione (per esempio, rimboccarsi le maniche e lavorare sodo, rompendo le scatole ovunque) per richiamare tutti i partner Expo all’azione, visto l’approssimarsi della scadenza, lui ha scelto di dare le dimissioni, di trarsi d’impaccio conservando il proprio pedigree immacolato e lasciando ad altri il proverbiale cerino acceso. Il suo è stato un atto di viltà, uno scaricamento bello e buono di responsabilità. Questo è il nome proprio della sua azione. Ha sentito puzza di bruciato e si è tolto di mezzo, tutto qui.

Probabilmente io avrei fatto peggio di lui, perciò non intendo condannarlo per questo. Però non facciamolo passare per un atto di coraggio e di responsabilità, visto che è l’esatto contrario, perché di questo passo le parole significheranno il proprio opposto, come sta già cominciando ad accadere, e non è un male da poco.

A furia di usare la comunicazione in modo così scriteriato, senza nessun rispetto della natura delle cose, finiremo – noi e la nostra multimedialità, noi e la nostra smart city, noi e i nostri splendidi modelli di sviluppo che in due anni sono diventati concime per i campi – per produrre uomini con la vita strozzata in fondo alla gola, autistici, afasici, incapaci di dire perfino “bello”, “brutto”, “mi piace” o “ti voglio bene”.

Pensiamo anche al futuro, ogni tanto. Ma quello vero.