Al di là di tutti gli aspetti ripresi dai media dell’intero globo, due sono i pensieri che mi accompagnano con insistenza dopo la memorabile due-giorni di Benedetto XVI a Milano per la Giornata Mondiale della Famiglia.

Il primo riguarda i giovani. Gli analisti della crisi ci stanno spiegando che per la generazione che va dai venti ai trentacinque anni non c’è ormai più niente da fare: il mondo (con l’Italia in prima fila) non ha posto per loro, a meno che non si accontentino di friggere patatine da McDonald’s o di fare i commessi alla Decathlon.



Unica speranza: andarsene e raggiungere quei (pochi) paesi dove la crisi è più leggera, per esempio la Germania, o l’America, e dove l’ingegno e la buona volontà sono ancora monete pregiate.

L’università non offre garanzie per il futuro e la disoccupazione prossima ventura è ben più che uno spettro per chi spende tre, quattro, cinque anni della sua vita in quella che fino a qualche anno fa era la fucina della nuova classe dirigente del Paese.



Ai giovani, a questa generazione flagellata dalla crisi ma ancor più flagellata da un mondo che non sembra sapere che farsene di loro, Benedetto XVI dice: aspirate alla santità. Non li consola, non chiede loro di accettare questa difficile congiuntura con spirito di sacrificio, non dice loro di mettersi il cuore in pace, dice: chiedete il massimo alla vita, perché meno del massimo non è umano.

E a me viene da pensare quanto sia difficile amare davvero i nostri figli. Cosa speriamo per loro – noi, intendo, delle generazioni che, in un modo o nell’altro, ce l’hanno già fatta? Speriamo in un bel posto di lavoro, remunerativo, che dia loro tante soddisfazioni? In una carriera brillante? In un felice matrimonio con una bella ragazza che sfornerà per nipotini belli e biondi?



Bravi ragazzi: è questo che vogliamo per i nostri figli? E’ davvero questo? Il Papa risponde: no. Quello che conta è che siano santi, cioè uomini. E “uomini” significa persone consapevoli di sé e del proprio destino. Un uomo è un uomo sempre, nella buona e nella cattiva sorte, e sa vivere fino in fondo, senza scappare, le diverse circostanze – quelle favorevoli come quelle avverse – proprio perché ultimamente non dipende da esse. Nessuna crisi può rubare a un uomo il significato della propria vita, l’utilità profonda della sua esistenza davanti al mondo, alla storia, al futuro.

L’incertezza di una generazione è stata trasformata da Benedetto XVI nella sua forza più grande. La sfida della storia è per la riuscita della vita umana.

Il secondo pensiero, nato in me soprattutto durante e dopo il grande momento finale, la Messa di ieri mattina all’aeroporto di Bresso, riguarda qualcosa di cui, nella Ninive del nostro tempo, nessuno – a cominciare dai politici di destra come di sinistra, per finire ai giornalisti e agli intellettuali – si occupa più: la gente, la gente normale. A Bresso lo spettacolo era davvero imponente: famiglie di tutto il mondo, ma soprattutto – ovviamente – italiane in cammino verso l’incontro col Papa. Brava gente, che vive la sua vita semplice e onesta cercando di provvedere ai propri figli e di dare come può il proprio contributo alla vita civile.

Chi pensa mai a loro? Il terremoto che ha investito l’Emilia e il mantovano in queste settimane ha riportato alla ribalta loro, quelli che Manzoni chiamava “gli umili”. Essi sono ancora l’ossatura del nostro Paese, la trave portante di un edificio che, ad ascoltare i potenti, sembrerebbe abitato soprattutto da evasori fiscali e da furbetti di ogni genere.

Invece basta un volto umano, basta un uomo profondamente certo che la dignità dell’uomo non ha prezzo, perché questa entità quasi astratta, che diventa concreta solo se c’è da vendere un prodotto o quando c’è da votare, mostri la propria anima.

La visita di Benedetto XVI ci dà anche questa notizia, oggi quasi inaudita: che il mondo è pieno di brave persone che non meritano la demoralizzazione di questi tempi, e che per loro riguardo – come direbbe il profeta Giona – Ninive non dev’essere distrutta. Se i politici capissero questa semplicissima verità, l’Italia sarebbe sicuramente diversa.