La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta dell’UE) contiene una serie di norme alle quali tutti gli Stati membri dovrebbero conformarsi quando attuano il diritto dell’UE. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che condizioni inaccettabili di detenzione possono costituire una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. L’articolo 4 della Carta dell’UE è formulato in modo identico all’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e queste due disposizioni hanno lo stesso ambito di applicazione e lo stesso significato. L’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dell’UE stabilisce inoltre che nessuno può essere consegnato a uno Stato in cui esista un elevato rischio di essere sottoposto tra l’altro a un trattamento inumano o degradante. Nonostante il fatto che il diritto e le procedure penali di tutti gli Stati membri siano soggetti alle disposizioni della CEDU e debbano conformarsi alla Carta dell’UE quando applicano la normativa europea, ci sono ancora dubbi sul modo in cui le norme sono applicate nell’UE.



Le condizioni in cui versano le carceri italiane, alla luce di queste normative, sono a dir poco inaccettabili. Nessuna delle disposizioni sopracitate è rispettata: basti pensare che, come è risaputo, nelle nostre carceri c’è spazio per meno di 46 mila dei quasi 68 mila detenuti attualmente. 

In Italia non si compiono più reati rispetto agli altri paesi, non c’è un tasso di criminalità più preoccupante rispetto agli altri paesi membri UE. Ci sono forse strutture obsolete ed occorrono ingenti risorse finanziarie per rinnovarle. Ma questo non è il problema principale. Se le persone incarcerate senza una condanna definitiva sono quasi la metà del totale, significa che si può fare molto soprattutto da questo punto di vista. Ciò dipende in primis dai giudici, che seppur non vincolati direttamente dalle normative europee, potrebbero utilizzare in moltissimi casi pene alternative al carcere, interpretando tra l’altro al meglio le disposizioni riguardanti la carcerazione preventiva. 



“Il tempo che una persona può trascorrere in stato di detenzione prima di essere sottoposta a giudizio e durante il procedimento giudiziario varia considerevolmente da uno Stato membro all’altro. Periodi di detenzione preventiva eccessivamente lunghi sono dannosi per le persone, possono pregiudicare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e non corrispondono ai valori propugnati dall’Unione europea”. Questo è quanto afferma una recente presa di posizione del Consiglio europeo. 

La carcerazione è un provvedimento di natura eccezionale nei sistemi giudiziari di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Deve essere messa in atto solo quando tutte le altre misure risultano insufficienti. Tutti gli organi giurisprudenziali europei sono giustamente molto inclini a preferire le misure cautelari non detentive, con un’attenzione particolare nei confronti del diritto alla libertà, conformemente alla presunzione di non colpevolezza. Le condizioni di detenzione devono rispettare la dignità umana e i diritti delle persone sospettate o accusate di un crimine.



Per la maggior parte delle migliaia di persone, che come Antonio Simone (del quale ho personalmente appurato l’inumano trattamento a San Vittore) sono incarcerate preventivamente nel nostro paese, sfido qualunque esperto di giustizia a provare l’esistenza del rischio di essere ostacolo alle indagini, oppure un elevato rischio di fuga oppure che l’imputato sia una minaccia per la sicurezza dei cittadini. Questi cittadini non sono per forza innocenti. Ma sono innocenti fino al giorno in cui vengono condannati in via definitiva. L’abuso della misura di custodia cautelare preventiva in Italia dovrebbe destare scandalo. E invece no. Perché tutto ciò che è stato deciso da un giudice va sempre bene, anche se è palesemente violazione dei diritti umani. Anche se una persona riceve un trattamento da Stato di polizia. E non importa se noi, con un sistema di giustizia del genere, non potremmo neanche starci in Europa. Non abbiamo i requisiti, perché non rispettiamo i diritti fondamentali dell’uomo. Fa niente se la Corte europea dei diritti dell’uomo ci mette in fondo a tutte le classifiche per l’efficienza della giustizia, fa niente se anche la Commissione europea, nel suo Libro verde del 2011 ha citato l’Italia insieme alla Bulgaria e ad altri paesi, come esempio negativo per il sovraffollamento delle carceri.

Spesso i governi dei paesi membri lamentano una mancanza di fondi per far fronte all’emergenza carceraria. Il bilancio comunitario deve dotarsi di una linea ad hoc per incoraggiare le autorità nazionali a migliorare le condizioni di detenzione. Questo deve essere solo il primo passo di una strategia che porti ad una reale armonizzazione dei sistemi di giustizia nell’Ue. Come succede per le regole sul patto di stabilità, è urgente che anche per quanto riguarda l’efficienza della giustizia si arrivi a delineare un sistema di vincoli che, nell’interesse dei cittadini europei, metta fine allo scempio sotto i nostri occhi.