“In Italia otto milioni di poveri”. Squillano le trombe dei giornali e dei siti internet, come sempre del resto quando l’ISTAT pubblica i dati annuali sulla povertà. 11,1 della popolazione in povertà relativa, nel 2011. Per l’appunto otto milioni. 

Poi si guardano i dati degli ultimi quattro anni, le famose “serie storiche” cui i giornalisti sembrano badare poco, e si nota (con sorpresa, per qualcuno) che la percentuale è sostanzialmente ferma a quella quota. Magari un po’ altalenante, ma stabile se non addirittura in diminuzione rispetto a quattro anni fa. Situazione un po’ strana, indubbiamente. Ma non a sufficienza per frenare l’ansia “drammaturgica” dei titolisti, affascinati da quel numero tondo che evoca catastrofi imminenti: 8 milioni!

La povertà relativa in Italia, anni 2008 – 2011

Ancora una volta abbiamo la conferma del fatto che l’indice di “povertà relativa” in realtà non individua i poveri, ma ci dice quanti sono coloro i quali, per mille motivi diversi, si posizionano ad un livello di consumi (tutti i consumi, nessuno escluso) di un bel po’ più basso rispetto alla mediana della popolazione. 

La vera povertà, invece, è quella assoluta. Quella che viene calcolata tenendo conto dei soli consumi essenziali, quelli che se si tagliano significa proprio che si è mal messi: cibo, abbigliamento, educazione, sanità, casa. Una misura, oltre tutto, che non viene misurata secondo un’astratta media nazionale, ma che tiene conto del costo della vita, del luogo dove si abita, della composizione del nucleo famigliare. Insomma, una misura più precisa e affidabile, capace di dirci qualcosa di più sulla vera situazione di bisogno del paese.

Ed è qui che arriva il botto di metà anno: le famiglie povere sono salite, nel 2011, al 5,2%, dopo un triennio di sostanziale stabilità. +0,6 punti in un anno. Sono dunque quasi 1 milione e 300mila famiglie, pari a oltre 3 milioni e 400mila persone. 

 

La povertà assoluta in Italia, anni 2008-2011

 

 

Rispetto al 2010, dunque, in Italia ci sono circa 100mila famiglie (+12%) e circa 300mila persone (+10%) povere in più. In difficoltà ci sono i soliti noti, ma anche figure relativamente nuove che la crisi sta spingendo ad ingrossare le file del bisogno. Tra i soliti noti ci sono naturalmente famiglie con figli piccoli e in particolare quelle con cinque o più componenti, tra le quali la povertà schizza nel 2011 al 12,3% rispetto al 10,7 dell’anno precedente. Con loro peggiorano le condizioni delle persone con basso livello istruzione, così come peggiorano maggiormente le condizioni economiche dei giovani sotto i 34 anni, tra i quali la povertà assoluta è passata in un anno dal 4,3% al 5,3%. A questo gruppo di poveri per così dire “tradizionali” si aggiunge in tempo di crisi l’esercito dei nuovi disoccupati, in costante crescita al centro-nord e nel 2011 in nuovo aumento anche nel Mezzogiorno.  

È uno scenario che si è dunque fatto più drammatico nel corso dello scorso anno, tanto che le conseguenze della crisi cominciano a farsi sentire anche in settori di ceto medio per il momento non toccate dall’effetto perverso della difficile congiuntura macroeconomica. Siamo di fronte ad una nuova povertà prevalentemente dovuta alla perdita di lavoro o all’eccessivo prolungamento della ricerca di una nuova occupazione. L’urgenza di calibrare le politiche sociali soprattutto su questa fetta della popolazione, modificando la struttura di un welfare tendenzialmente passivo ed assistenziale in un nuovo welfare attivante appare sempre più urgente.