Vessato, perseguitato, messo sotto accusa, condannato e imprigionato sin dalla gioventù per le sue opinioni, apertamente critiche nei confronti delle politiche ufficiali del governo, mai ha pensato di farsi sopraffare dal potere e fino all’ultimo giorno ha vissuto per il suo Movimento cristiano di liberazione per la pace.
Oswaldo Josè Payà Sardiñas testimoniava le ragioni di un dialogo nazionale per consentire un cambiamento democratico a Cuba e lavorava in modo instancabile per creare un movimento democratico alternativo e non violento, basato su un’ampia coalizione. Avvalendosi del quadro giuridico e politico esistente, ha sempre cercato di introdurre riforme al fine di avviare un processo di transizione verso una democrazia pluralista, che rispettasse i diritti umani e le libertà fondamentali.
La morte in un incidente stradale dell’attivista cubano è una notizia sconvolgente per il presente e per il futuro del popolo cubano, ma è una notizia triste anche per l’Europa. Ai nostri valori cristiani di convivenza si è sempre ispirato Oswaldo nella sua incessante lotta per dare una speranza al suo popolo. Per questo il Parlamento europeo gli aveva assegnato nel 2002 il premio Sacharov per la libertà di pensiero.
In quell’occasione disse agli eurodeputati: “Questo Premio Sacharov lo avete assegnato al popolo di Cuba; lo dico perché senza dubbio il popolo cubano merita questo riconoscimento. Lo dico senza escludere nessuno dei miei compatrioti, a prescindere dalla posizione politica, perché i diritti non hanno colore politico, né di razza, né di cultura. Neppure le dittature hanno colore politico, non sono né di destra, né di sinistra, sono soltanto dittature. Nel mio Paese vi sono migliaia di uomini e donne che, nel mezzo della persecuzione, lottano per i diritti di tutti i cubani. Centinaia di persone sono in carcere soltanto per aver proclamato e difeso questi diritti, perciò io ricevo questo riconoscimento a nome loro. Dico che questo premio è per tutti i cubani, perché credo che con esso l’Europa intenda dire loro: ‘Anche voi avete diritto ai diritti’”.
Voleva sconfiggere la dittatura con mezzi legali. Oswaldo Payá non era infatti a capo di un esercito di ribelli per lottare contro il regime di Fidel Castro, ma era il condottiero di una battaglia per riformarne il sistema giuridico. Dal 1990, ha cercato di diventare membro del Parlamento cubano per due volte. Il governo dell’Havana non glielo ha mai concesso, per questo ha co-fondato il progetto “Varela”, che mira a garantire la libertà di espressione, la pluralità nelle elezioni e la liberazione di tutti i prigionieri politici. Circa 25.000 cubani hanno sostenuto le sue idee firmandone il progetto. Il governo cubano non solo ha ignorato la richiesta di un referendum, ma nel marzo 2003 ha mandato in galera due terzi degli attivisti. Ma di odio e di rancore non ne voleva sentire parlare.
Era un grande uomo quello che se n’è andato lunedì scorso, un uomo di pace, un vero cristiano. Proprio per questo sempre più scomodo e irritante per il regime dei fratelli Castro. Senza voler trarre conclusioni affrettate e controproducenti, sarebbe sbagliato non vagliare tutte le possibili cause dell’incidente che è costato la vita a Oswaldo Payà. Occorre fare piena luce su un episodio che, a detta di molti, conserva parecchi lati oscuri.
Payà era già stato recentemente vittima di un attentato mentre viaggiava in auto. L’Unione europea e la Comunità internazionale non possono fare finta di nulla, devono sollecitare con fermezza e seguire con attenzione le indagini. Il progetto Varela deve essere preservato e portato avanti con ancora maggior convinzione e tenacia, perché resta uno dei pochi preziosissimi strumenti di lotta democratica affinché il popolo cubano possa un giorno vivere in democrazia e libertà.