Su una strada sterrata di Bayamo a più di 700 chilometri da casa sua. Così è morto Oswaldo Payá, il leader del Movimento cristiano di liberazione. Viaggiava su un’auto guidata dallo spagnolo Alfonso Carromero. Il governo cubano attribuisce a lui la morte di Payá, a causa della “velocità eccessiva” che stava tenendo: oltre 60 chilometri orari.

La vedova di Payá, Ofelia Acevedo, non si fida della versione ufficiale e chiede un’indagine indipendente. Non riesce a credere al fatto che si sia trattato di un incidente. La moglie del dissidente ricorda infatti che suo marito è stato minacciato molte volte di morte.

Payá, dopo la sua scomparsa, è ancora decisivo per il futuro di Cuba, come quando era vivo. E quel che accade a Cuba è sempre cruciale per l’America Latina. Enrique Krauze – il grande intellettuale messicano che ha pubblicato quest’anno “Redentores”, un libro in cui sintetizza la storia culturale dell’America che parla spagnolo – sostiene che tutti i grandi eventi sono cominciati sempre dall’isola. Come quando nel 1898 Cuba ha cessato di essere una colonia spagnola, dopo che gli americani si erano impegnati a levare di mezzo Madrid, segnando l’inizio del controllo yankee della regione. O come quando il trionfo della rivoluzione di Fidel Castro nel 1959 contrassegnò il declino dell’America liberale. La caduta del comunismo nell’isola, secondo Krauze, sarà dunque fondamentale per iniziare una nuova fase in tutta l’area.

Oswaldo Payá è uno dei dissidenti che con maggior intelligenza, sacrificio personale ed efficacia ha lavorato per costruire questa nuova Cuba che dovrà influire così tanto sull’America Latina. Nel caso di Payá si può dire precisamente che “dalla fede era nato un metodo” per fare politica sotto un regime totalitario. Ai suoi amici ha confessato che la sua energia veniva “dall’umiltà della croce, dalla quale era sorta la liberazione eterna”. Con un’esperienza cristiana molto solida ha messo in moto il Movimento cristiano di liberazione e il Progetto Valera.

Non bisogna dare per scontato il fatto che il cattolicesimo a Cuba abbia generato il movimento di riferimento tra i dissidenti. Cuba, infatti, è sempre stata uno dei luoghi meno cattolici d’America. Lo era già ai tempi di Batista. E dopo oltre 50 anni di dittatura comunista, solo l’1% della popolazione va in chiesa. Oswaldo Payá non aveva quindi nessuna “piattaforma egemonica” da cui iniziare il suo lavoro. Il suo successo è stato quello di costruire un movimento di base. È morto come ha vissuto: viaggiando in tutti gli angoli del Paese. Questo è ciò che gli ha permesso di raccogliere, con il Progetto Varela, più di 20.000 firme: una cifra sorprendente in un Paese in cui il castrismo controlla tutto.

Il Progetto Varela, lanciato nel 1998, è senza dubbio il grande punto riferimento su come fare opposizione a Cuba e promuovere una transizione pacifica verso la democrazia. Negli ultimi 50 anni molti sono stati i dissidenti che se ne sono andati e hanno costruito un’opposizione dall’esilio a Miami, con posizioni che in molte occasioni non si sono rivelate costruttive. Oswaldo, invece, è rimasto. E ha scommesso su una transizione basata su una formula simile a quella utilizzata in Spagna per passare dal franchismo alla democrazia: una transizione “dalla legge alla legge”.

Infatti, il Progetto Varela consisteva nel dar vita a una trasformazione del regime di Castro utilizzando la Costituzione comunista del 1976, che stabilisce che i cittadini possono promuovere leggi se ottengono 10.000 firme. Le leggi proposte da Payá, con un vasto sostegno popolare, chiedevano la libertà di espressione, l’amnistia, il diritto alla proprietà e un sistema elettorale democratico. Il castrismo non le ha accettate. Ma il grande movimento popolare messo in moto ha portato al cambiamento nella coscienza di molti.

Payá ha lavorato sull’isola, con realismo, partendo dalla base, costruendo un popolo, cercando scappatoie nella legislazione comunista. In questo modo ha tracciato la strada più chiara.