Si trattava di trasferirsi a Il Cairo: per un anno. Lo scopo: semplice ed affascinante. Iniziare ad immedesimarsi nel magma incandescente del mondo arabo cominciando a studiarne la lingua. Così il dottor Paolo Caserta lasciò la sua Firenze per approdare sulle rive assolate del Nilo. Aveva tutta l’aria di essere un’operazione culturalmente dignitosa: in effetti lo era. Correva l’alba del terzo Millennio e l’Imprevisto era in agguato. Nella fattispecie, ebbe il volto ed il cuore del professore Wael Farouq docente di lingua araba nella scuola dei Padri Comboniani cui Paolo si era iscritto. Due giovani uomini che provengono da due mondi molto diversi e distanti tra loro e che si trovano accomunati da uno stesso desiderio e dalla medesima curiosità: lo struggimento per la Bellezza che si propone come solido fondamento di ogni rapporto autenticamente umano. Si incontrano, si stimano, mettono in comune conoscenze e domande, intuizioni e prospettive.
Il mio primo incontro con Wael, in quella piazza Tahrir destinata al diventare famosa, fu la conferma della eccezionalità di un evento che si annunciava gravido di altre sorprese. Paolo invita Wael a visitare il Meeting di Rimini: un fatto che segna profondamente il giovane docente egiziano. La Bellezza non appartiene dunque al limbo dell’utopia: si è intrufolata nella storia e può plasmare un’esperienza. Wael non si sottrae al contagio: comunica ai suoi amici la novità accaduta e li invita a conoscerla. Approdano in quattro a Rimini ed è il classico colpo di fulmine: “Anche l’Egitto ha bisogno di un fatto del genere!”. Non sono i primi che lo dicono, sono i primi che lo fanno. Tornano in patria e si mettono al lavoro. L’esito sorprende tutti in quella fine di ottobre del 2010. Il sommovimento che cambierà e sta ancora cambiando il mondo arabo è alle porte in tutta la sua imprevedibilità.
Intanto a Il Cairo si è consumato l’inatteso: decine di persone si sono mosse per preparare quello che ormai tutti chiamano il “Meeting Cairo” e centinaia vi hanno partecipato. Come un fiore sbocciato improvviso dalla terra di un deserto che fino ad allora pareva pago della sua promessa di aridità. Proprio qui sta la novità e la sfida dell’evento del “Meeting Cairo”. Uomini e donne destati alla radice del loro desiderio e che si mettono in movimento. Un entusiasmo non sentimentale che li mette all’opera e che permette loro di stupirsi di fronte ad un esito straordinario rispetto all’esiguità delle premesse.
La ferrea legge dell’esperienza non ammette però deroga alcuna: il desiderio deve diventare domanda e questa sbocciare nella lavoro arduo ed affascinante del giudizio, forma di un’azione tenace e creativa, testimonianza di libertà autentica. E’ il tempo della persona. La temperie culturale che sta sconvolgendo il mondo arabo non sfugge all’inesorabilità di questo giudizio. L’alternativa non ammette sfumature: o ci si mette al lavoro per la costruzione tenace e paziente di un nuovo soggetto storico in grado di educare uomini che possano dire “io” con verità, oppure il potere mostrerà ancora una volta la sua maschera tirannica, così che i nuovi farisei che hanno partorito facili “primavere” avranno buon gioco a registrare l’inevitabile prevista vittoria dell'”inverno”.
Questa è la sfida che ci troviamo di fronte, su questa e sull’altra sponda del Mediterraneo: accogliere o meno la proposta di un lavoro teso all’educazione della persona. Disattenderla significherà pagare il prezzo di un’ occasione storica perduta. Senza l’io infatti non c’è incontro, senza l’io non c’è Meeting.