Durante i primi sette anni della mia vita ho vissuto nella campagna lombarda. La vegetazione è stata la mia prima compagnia. Le mucche e i cavalli, gli asini e le capre, i cani, i gatti e le galline abitavano con me. Ero ben consapevole della loro differenza dalla mia persona, ma anche della loro vicinanza e della loro necessità.
Ho pensato spesso al mistero della presenza degli animali nella nostra vita, e soprattutto all’assenza, in loro, della parola. Tale assenza è certamente il segno della loro inferiorità rispetto a noi, ma è nello stesso tempo il rimando a un silenzio, a un linguaggio di cui non conosciamo le chiavi se non molto superficialmente. Forse sta proprio in questo silenzio la ragione per cui alcuni popoli antichi percepivano la presenza del divino negli animali. Penso per esempio ai gatti per gli egizi. Guardano, anzi scrutano, e non parlano. Ti interrogano con i loro occhi, e sembrano rinviarti a una dimensione della vita che hai dimenticato.
Quando penso alla vita futura, non so immaginarla senza piante e animali. Ogni parola su di essa è certamente come un balbettìo: non sappiamo cosa significhi il rinnovamento della creazione di cui parla san Paolo, nella lettera ai Romani (cfr. Rm 8, 19-23). Per l’uomo che sa riconoscere il Creatore e le creature esse non sono più soltanto cose. Acquisiscono una dignità che le rende preziose.
L’ecologia è un tema di cui, ultimamente, si parla molto. La parola viene dal greco oikos e logos. Oikos è la casa, ma è anche l’ambiente; logos è la scienza, ma è anche l’ordine. La parola ecologia può essere dunque tradotta come «ambiente ordinato». Proprio questo significato mi suggerisce l’esistenza di un’ecologia sana e di una malata. Quest’ultima è quella che non riconosce un ordine gerarchico all’interno della natura. Quando si perde la gerarchia della creazione, quando si dimentica che la natura è al servizio dell’uomo, la vera ecologia muore.
Tutta la sanità dell’ecologia sta dunque in questo equilibrio: mantenere una gerarchia all’interno della natura e, nello stesso tempo, affermare che la natura non è un puro oggetto a disposizione dell’uomo. Distruggendo la natura l’uomo distrugge se stesso, non solo materialmente, ma anche spiritualmente, perché essa rappresenta per lui una spinta costante verso la riflessione sull’origine e il fine della vita.