La polemica non è nuova e c’era da aspettarsi che la crisi la facesse riesplodere. Sembra che i Paesi dell’Europa del Nord, di tradizione prevalentemente luterana, non si fidino di quelli del Sud, plasmati dal cattolicesimo. Il grave difetto di questi ultimi (con l’aggiunta dell’ortodossa Grecia) sarebbe quello di guardare con troppa indulgenza (la battaglia di Lutero non fu innescata dalla polemica sulle indulgenze?) i propri “peccati” fiscali. La proverbiale “arte di arrangiarsi” dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, la loro insofferenza per le regole troppo rigide e la conseguente abitudine ad infrangerle non appena si può, in periodi di vacche grasse si possono anche considerare con una certa benevolenza e persino simpatia, come si fa con temperamenti troppo esuberanti e pasticcioni. Ma adesso che le vacche dell’economia europea sono magrissime non si può più transigere. Ecco allora profilarsi – come ha scritto Massimo Franco sul Corriere – lo schieramento dei protestanti “rigorosi” del Nord contro i cattolici “lassisti” del Sud. Fino al punto da tracciare, come dice la Bbc, “una linea di frattura religiosa dell’eurozona”.
La polemica, come dicevo, non è nuova e su queste pagine è già stata ricostruita. Da molti anni, a casa nostra, ci sentiamo ripetere che buona parte dei malanni dell’Italia sarebbe dovuta al fatto che il nostro popolo non ha subito lo shock purificatore del protestantesimo. In particolare il cattolicesimo non avrebbe ingenerato nella nostra popolazione un adeguato senso dello Stato, cioè delle regole che disciplinano la convivenza comune, e ciò in quanto a lato di quelli statali il cattolicesimo farebbe sopravvivere altri riferimenti morali ed altre appartenenze. Così, mentre si accusa la Chiesa cattolica di essere rigorista nella morale che propone ai suoi fedeli, le si fa carico di non inculcare sufficientemente la “morale” dello Stato. È non ultimo segno di protestantizzazione l’insistenza di molti prelati nelle loro omelie sugli aspetti di moralità civica, interpretati come contenuto quasi unico del messaggio cristiano; ma questo è un altro discorso.
Ciò che ora mi preme evidenziare è che in questa complessa discussione non si esplicita a sufficienza il presupposto dato per scontato. Ed è che l’ideale della convivenza viene fatto coincidere esattamente con le regole proposte dallo Stato nelle sue varie ramificazioni. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Non è, invece, più corrispondente alle dinamiche esistenziali di ciascuno considerare che la vita, i rapporti, i riferimenti e le appartenenze siano e debbano restare molto più variegati di quelli definiti per via legislativa e, quindi, da maggioranze sempre cangianti?
Detto in altri termini, è un problema di libertà. La Chiesa ha sempre insegnato che bisogna obbedire all’autorità e rispettare le leggi, ma non ha mai lontanamente pensato che la speranza ultima di una convivenza si debba attribuire ad esse (il che, tra l’altro, indica un percorso assai più impegnativo per realizzare una convivenza buona). La Chiesa è sempre stata più interessata all’imprevedibile cammino del singolo verso il suo destino di felicità che non all’imposizione per via legislativa di “valori comuni” che risultano inesorabilmente astratti e, in definitiva, violenti.