Non è bello alzarsi la mattina e scoprire che il proprio ambasciatore in Libia, assieme ad altri tre poveri uomini, è stato ammazzato. Non è bello neanche scoprire che in Egitto l’attacco all’Ambasciata ha avuto come vittima la bandiera americana. Quante se ne bruciano in giro per il mondo? Non è neanche bello venire a sapere che tutto questo è stato scatenato da uno stupido e provocatorio video messo insieme da un proprio connazionale.
L’America si è svegliata e si è trovata costretta a ricordare che l’11 settembre non è soltanto qualcosa accaduto undici anni fa, o soltanto ieri. L’11 settembre è oggi, Al Qaeda o meno. L’odio provoca odio, lo sappiamo, ed è inevitabile. Quel che sembriamo non sapere – o voler ignorare – è che ogni popolo, per storia, tradizione, educazione e quindi sensibilità, ha in sé criteri per giudicare quel che accade, quel che è. E questi criteri sono diversi. Non possiamo leggere, interpretare la realtà vissuta da altri applicando le nostre categorie. Sarebbe come pretendere di capire un’altra persona senza conoscerne la lingua o pensare di farsi intendere parlando la nostra lingua ad uno che la ignora.
Pochi giorni fa, seguendo alla tv la convention democratica, il vice presidente Biden metteva la Libia tra gli “achievements”, i “successi” dell’amministrazione Obama per aver contribuito al ribaltamento del regime di Gheddafi. E’ questa la Libia che ci auguravamo? E’ questo che ci aspettiamo dal nuovo Egitto? E’ questo il frutto della battaglia per liberarsi di due feroci dittatori? Ci siamo intromessi per il petrolio? Perché si trattava di Paesi strategici nel quadro politico mondiale? O semplicemente perché, nella sua semplicità a volte ottusa, l’America si sente sempre in dovere di far giustizia o quantomeno di portare ovunque democrazia e valori occidentali?
Questa non è una questione che riguarda solo l’amministrazione Obama. Possiamo guardare ad anni e anni di politica internazionale americana, dall’Iraq all’Afganistan e indietro fino alle “battaglie anti-comuniste” di Vietnam e Corea, e trovarci gli stessi errori di valutazione. Abbiamo sostenuto l’Iran contro l’Iraq, i Talebani contro i Russi e Dio solo sa chi altri in questo mondo senza pace, e ogni volta, spesso prima che poi, ne abbiamo pagato un prezzo pesantissimo e non solo in vite umane. Il prezzo più pesante? Su tutti l’odio di chi ci vede come intrusi che pretendono di portare valori e credenze non condivisi e non condivisibili. Dovremmo capirlo, a questo punto dovremmo essere capaci di capirlo.
Guardiamo per un attimo a quel che è accaduto in questi ultimi giorni. Era l’11 settembre, l’anniversario di fatti tragici che sconvolsero un Paese intero e la sua innata “apertura al mondo”. Qualcuno – tale Sam Bacile, che si definisce un Ebreo Americano – mette in circolazione un video “politico” che sostanzialmente attacca l’Islam definendolo un “cancro” e il Profeta Maometto definendolo una serie di cose offensive. La reazione che se ne genera è quel che è accaduto. Per coloro che hanno assalito, bruciato e ucciso, Sam Bacile e Terry Jones (quel pastore protestante della Florida che di tanto in tanto brucia copie del Corano) sono l’America. Lo sono?
Non per me e probabilmente per tanti americani, ma per i credenti dell’islam? Eppure se chiedessimo a Bacile e Jones, loro certamente ci risponderebbero che sì, loro sono “la vera America”. A Bengasi e Il Cairo gruppi di facinorosi si scatenano assalendo le sedi diplomatiche Usa. E’ questo l’islam? Probabilmente non per tanti seguaci di Maometto, ma per noi? Eppure se chiedessimo agli assalitori, loro certamente ci risponderebbero che sì, loro sono “il vero islam”.
E’ innegabile che Mubarak e Gheddafi fungessero da “tappo violento” in Paesi lacerati da mille divisioni. E’ innegabile che l’infinito desiderio di libertà di cui l’uomo è fatto prima o poi avrebbe fatto crollare queste tirannie fondate sulla sabbia del deserto. E’ anche innegabile che questa “libertà” sembra non avere lo stesso volto per tutti. I fatti dell’11 settembre ce lo testimoniano. Allora? Allora, prima ancora di tentare di “esportare” la nostra libertà e la nostra democrazia dobbiamo chiederci che cosa siano questa nostra libertà e democrazia.
Troppo spesso quella che chiamiamo tolleranza – la manifestazione del rispetto della libertà altrui – maschera estraneità, indifferenza. Maschera il fatto che niente ci sta veramente a cuore. Infatti non c’è tolleranza che permetta un vero incontro umano. Perché un incontro avvenga bisogna aver coscienza di quel che si è. Solo capendo cosa sia la propria libertà si può amare quella altrui.