La scorsa settimana, durante il suo viaggio in Libano, Benedetto XVI, parlando della Siria ha affermato che, “invece di importare le armi che è un peccato grave, dovremmo importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni per accettare ognuno nella sua alterità“. Nell’Esortazione apostolica post-sinodale sul Medio oriente, firmata sempre durante la sua visita a Beirut, il Papa ha parlato anche della libertà religiosa e del ruolo dei cattolici in Medio Oriente. “I cattolici del Medio Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria“, ha detto, e “devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori“.
Fino allo scoppio della guerra civile che sta massacrando l’intera nazione, la Siria è sempre stata un Paese nel quale i cristiani hanno goduto di uno standard di libertà e sicurezza molto elevato: sono una comunità molto grande, che corrisponde al 10% della popolazione. Ma la guerra e il rischio di una deriva integralista mette a repentaglio la loro incolumità. Quando Bashar Al-Assad soccomberà e verrà costretto a farsi da parte, si prospetta un futuro ricco di insidie e con una sola certezza per i cristiani siriani: quella di vedere completamente stravolto un equilibrio faticosamente raggiunto e che garantiva una convivenza pacifica con le altre confessioni religiose.
Sono già parecchie le testimonianze provenienti da diverse zone della Siria, di violenze e soprusi da parte dei ribelli contro le comunità cristiane. Il mondo occidentale deve spingere per una pace vera, che non escluda nessuno. Giustamente i cristiani siriani tengono a difendersi dall’accusa di essere sottomessi ai regimi autoritari, come ha dichiarato nei giorni scorsi il vescovo di Aleppo Antoine Audo. “Si tratta di critiche ingiuste e infondate“, ha detto. “Anche tra i cristiani ci sono tanti che sperano in un cambiamento che porti davvero a una maggiore libertà. I cristiani sono in gran maggioranza gente semplice, esposta a tutte le violenze. Conoscono la realtà del Paese e aspettano di vedere cosa accadrà. Come ha detto anche il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, non vogliono difendere nessun regime. Desiderano solo vivere nella pace, nella libertà e nel rispetto reciproco, lontano da ogni estremismo. Ma questo è un discorso che adesso molti non vogliono ascoltare“.
Occorre che la comunità internazionale, coinvolgendo i paesi vicini che hanno già dimostrato di volere una soluzione condivisa, garantisca una transizione pacifica ed effettiva verso la democrazia, che risponda alle legittime richieste del popolo siriano e si basi su un dialogo inclusivo che coinvolga tutte le forze democratiche e le componenti della società siriana, incluse le minoranze etniche e religiose.
Da diversi mesi decine di migliaia di profughi siriani cercano rifugio in Turchia, un Paese che sta svolgendo un ruolo molto importante a livello internazionale nell’opposizione alla violenza in Siria. La gravissima situazione in Siria sta già avendo un impatto negativo sulla situazione in Giordania e sulla situazione politica e sociale in Libano. Non è difficile immaginare che avrà ripercussioni sull’intera regione, con implicazioni e conseguenze imprevedibili. Chi spera che la caduta del regime di Assad metterà le cose a posto ignora che la guerra in Siria non è soltanto frutto della volontà di una parte della popolazione di vivere finalmente in democrazia.
L’avvio di un percorso di pace non può aspettare: servono profonde riforme democratiche, serve tener conto della necessità di assicurare la riconciliazione nazionale, serve un impegno comune a garantire il rispetto dei diritti delle minoranze, come quella cristiana, senza le quali sarebbe impossibile la convivenza. I governi occidentali dovrebbero valorizzare il contributo dei cristiani, che ancora oggi in Siria, nel mezzo della guerra, sono un punto di riferimento per i profughi di ogni etnia e religione, come testimoniato dall’accoglienza esercitata dalle chiese nei confronti di coloro che fuggono dalle città dove divampa la guerra civile.