Ognuno di noi è parte della storia di Dio con gli uomini, della storia dell’Alleanza. Attraverso la nostra vita, Dio vuole scrivere un momento della sua storia con il suo popolo, e quindi con tutta l’umanità. Ma siamo consapevoli di questa vocazione?

Tutto, nella nostra vita, dipende dall’ampiezza del nostro cuore, o, meglio, da chi e da che cosa abita il nostro cuore. Se il nostro cuore è ripiegato e pieno di male, “anche il tuo occhio sarà pieno di male” (cfr. Lc 11,34), direbbe Gesù. Non vedremo né penseremo altro che il male. 

Ciò che più conta nella vita è l’alimentazione del cuore, o, usando un altro termine, il giudizio: il giudizio su ciò che ci è accaduto e su ciò a cui Cristo ci chiama e ci chiamerà. Alimentare il proprio cuore significa riconoscere il proprio posto dentro la storia di Dio con gli uomini. Risuona dentro di noi la voce del profeta Isaia, che richiama il popolo dicendo: “Dio sta facendo una cosa nuova, non ve ne accorgete?” (cfr. Is 43,19). La carità di Dio ha voluto noi e il mondo, ma, ciò che è ancora più impressionante, ci chiama a edificare il suo regno attraverso forme sempre nuove di vita.

Occorre che dentro di noi continuamente si riaccenda la memoria di Dio fatto uomo, della sua passione, resurrezione e della sua attuale presenza. La memoria delle grandi cose che egli ha voluto fare per noi.

Per incontrare il dono di Dio, però, dobbiamo uscire da noi stessi. Noi passiamo la maggior parte del tempo chiusi nelle preoccupazioni per i nostri problemi. Identifichiamo il piccolo mondo che si agita in noi con l’universo. Se avessimo il coraggio di uscire da noi stessi, di aprire la finestra, vedremmo quanto è piccolo il mondo dei nostri sentimenti, delle nostre reazioni, paure, invidie e gelosie. Quanto sono piccole le cose che ci rendono esaltati o depressi. Se uscissimo incontro a ciò che Dio fa, tutto assumerebbe una dimensione nuova, finalmente vera.

Ricordo quando sentivo parlare don Giussani ai tempi del liceo: “La sensazione che ho io davanti a lui – pensavo – è quella che avevano gli ascoltatori che stavano a Parigi a sentire San Tommaso, che vedevano Beato angelico dipingere a Firenze, o che potevano udire in chiesa, seduti per terra, sant’Agostino a Ippona”. 

Se usciamo da noi stessi per andare incontro alle opere di Dio, tutto diventa grande. Se rimaniamo chiusi nei nostri sentimenti e nelle paure, tutto si rimpicciolisce. Dice sempre sant’Agostino: “Se il sacchetto è piccolo e accartocciato ci sta dentro poco; se è grande e dilatato, ci sta dentro tanto” (Trattati sulla prima lettera di Giovanni, IV, 6). Io prego perché nasca in noi una esaltazione sana per ciò che Dio ci ha regalato. La consapevolezza della nostra fragilità e pochezza unita alla consapevolezza che tutto è opera di Dio e che noi siamo strumenti liberi nelle sue mani, renderebbe quell’esaltazione pura come l’acqua di un torrente, limpida come alcune albe, tersa come certi mattini di primavera.