La politica, i capricci e le favole

ROBERTO COLOMBO analizza le parole che Papa Benedetto XVI ha rivolto sabato mattina al Comitato Esecutivo dell’Internazionale Democratico-Cristiana e, più in generale, alla politica italiana

Rivolgendosi al Comitato Esecutivo dell’Internazionale Democratico-Cristiana, sabato mattina Benedetto XVI ha citato San Paolo, quando mette in guardia il discepolo Timoteo dal «giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole». (2 Tm 4,3) Quel giorno, di cui scriveva l’Apostolo duemila anni fa, è presente.  Non ci mancano cattivi maestri, sempre pronti a secondare i capricci di chi non vuole vedere, non vuole ascoltare, non vuole toccare con mano la realtà della vita della persona e del popolo – quella segnata dalla crisi finanziaria globale, con cui facciamo i conti tutti i giorni – esimendosi dall’assumere «con realismo, fiducia e speranza le nuove emergenti responsabilità», aggiunge il Papa. Una realtà, «la cui complessità e gravità giustamente preoccupa», che deve essere anzitutto assunta come il luogo della ragione politica – la sua ragion d’essere, fatta di «realismo, fiducia e speranza» – prima di diventare l’oggetto di una strategia politica, un progetto o un programma. Un infantilismo politico continua a serpeggiare tra le fila dei partiti, capriccioso e miope, istintivo quanto irresponsabile (la politica autoreferenziale e tesa all’autoconservazione di cui, nello stesso momento, parlava il Cardinale Scola a Milano), che vuole quello che vuole e non cerca quello che desidera, che è all’altezza del cuore dell’uomo e, dunque, al centro della politica. A cavalcare l’onda capricciosa che agita le acque della politica italiana ed internazionale ci stanno provando diversi “maestri”, costruendo favole che avvolgono e stravolgono la realtà in una nuvola densa e scura e sollecitano le corde dell’emozione, del (ri)sentimento e della rabbia individuale e collettiva, della delusione, dell’illusione o dello scoraggiamento.

Sono così «purtroppo molte e rumorose le offerte di risposte sbrigative, superficiali e di breve respiro ai bisogni più fondamentali e profondi della persona», ben lontane – prosegue Papa Ratzinger – dall’«assumere come centrale ed imprescindibile la ricerca del bene comune, rettamente inteso, come pure la promozione e la tutela della inalienabile dignità della persona umana». Se la crisi nasce dall’avere trascurato «gli interessi più vitali e delicati della persona», la ripresa deve partire dalle «scelte fondamentali inerenti in senso della vita e la ricerca della felicità». Non si affronta efficacemente una crisi se non si scoprono le sue radici profonde, se non si toglie la terra arida e avvelenata che le circonda e la si sostituisce con del buon terreno, fertile e irrigato, capace di ridare vitalità all’albero della vita dell’uomo e della società. 

Prima ancora di un difetto di merito, le proposte politiche che stanno affiorando nel nostro Paese e circolano in Europa sono povere di metodo, e, per questo, senza genialità e prive di nerbo, incapaci di incidere nella realtà. Più precisamente, il metodo che assumono non è dettato dall’oggetto in questione – l’uomo, la sua vita e la trama di relazioni personali di cui essa è intrecciata – ma dalla conquista di un consenso finanziario, economico ed elettorale. Ci si limita «a rispondere alle urgenze di una logica di mercato», osserva il Papa. Una politica che va dietro al mercato dei soldi, della produzione e dei consumi, ed è al rimorchio dei sondaggi sul voto dei cittadini non potrà assumersi pienamente il compito di governare cui ambisce, perché governata da interessi alieni al bene della persona e del popolo che è chiamata a servire.

E’ il tempo della persona, della famiglia e della società. La persona esige «il rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale, con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica». Un impegno che si intreccia «con quello del rispetto del matrimonio, come unione indissolubile tra un uomo e una donna e come fondamento a sua volta della comunità di vita familiare […], il principale e più incisivo luogo educativo della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per aiutarli a trarre fuori (“e-ducere”) il meglio di sé. La famiglia, cellula originaria della società, è pertanto radice che alimenta non solo la singola persona, ma anche le stesse basi della convivenza sociale». Ad una politica che si esaurisce nella ragione di Stato e dei rapporti tra gli Stati, Benedetto XVI prospetta un ritorno alla radici della soggettività antropologica e giuridica, della comunità e del diritto nazionale ed internazionale: la persona, la famiglia e la società.

Richiamando i politici alla responsabilità della «della difesa e della promozione della dignità della persona umana», che spetta a tutti ma «concerne in modo particolare quanti sono chiamati a ricoprire un ruolo di rappresentanza», il Papa, citando il Concilio Vaticano II, affida ai cristiani che si assumono questo ruolo il compito «di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza».

Ragioni di vita e di speranza non si trasmettono attraverso favole demagogiche che distolgono gli occhi e la mente dalla realtà (anche se dura come un sasso, con essa ci dobbiamo misurare ogni istante) per proiettare l’immaginario individuale e collettivo su uno scenario futuro costruito a tavolino. Così si illude e si delude soltanto, si fa del male. Solo dove c’è vita c’è speranza, perché la speranza è una certezza per il futuro che ha il suo fondamento in una vita che c’è adesso, come diceva San Tommaso. Non potremmo sperare nulla per il domani nostro, dei nostri figli e dei nostri amici, per quello di tutti gli uomini e le donne, se non avessimo una buona ragione per vivere oggi, pur dentro alla fatica dei tempo presente.

Ai politici il Papa ha augurato «entusiasmo e decisione nell’impegno personale e pubblico» e li ha esortati «a realizzare tutte le possibilità di bene di cui sono capaci». Ma chi o che cosa può ridestare entusiasmo e decisione personale tra le fila di partiti, associazioni, unioni e sindacati che mostrano sempre più segni di stanchezza, un’astenia politica che li paralizza nella congiuntura storica, fino a far dipendere da essa l’angolo di apertura del desiderio di cambiamento? Solo il riconoscimento di quello che è in atto può generare in potenza ciò che sarà il nostro futuro: quello che più manca è un’esperienza vissuta, amata e testimoniata di un cambiamento possibile perché già iniziato. Il cristianesimo è questo: un germe di vita nuova e, dunque, di speranza che è presente in noi e opera attraverso di noi per realizzare un bene per tutti. Bonum diffusivum sui est, dicevano gli scolastici: il bene che esiste è contagioso.

Alla politica e a coloro che la coltivano con passione non chiediamo di prometterci un futuro a partire da un presente che non c’è, ma di lavorare insieme per trasformare le solide ragioni di vita e di speranza che già abbiamo in una possibilità per tutti, per costruire una polis, una città a misura piena del desiderio della persona, del bene della famiglia e della vita comune della società.

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