«Father, you know what? I am talking with a person who does not believe in God, he says there is no God! Very sad!» (Sai una cosa padre? Sto parlando con una persona che non crede in Dio, che dice che Dio non esiste! Molto triste!). Ricevo questo sms da un parrocchiano, un uomo colto, che lavora nella pubblica amministrazione. Incuriosito, lo chiamo. Lui mi spiega: «Si tratta di un cinese, padre!». E scoppia in una sonora risata, come a dire: «Ma come fa uno a non credere in Dio?».
Durante un viaggio in Uganda prendo un taxi dall’aeroporto e, lungo i quaranta chilometri da Entebbe a Kampala, chiacchiero con l’autista. C’è una gioia particolare in quell’uomo sulla quarantina, dalla testa calva. Arrivati a destinazione, lui mi viene ad aprire la porta come a una persona molto importante, con gesto repentino si inginocchia ed esclama: «Benedicimi, padre». Come noi tutti, gli africani hanno bisogno di sentire quasi fisicamente di essere fatti perché qualcuno ci benedica e ci confermi ogni istante nella positività della vita. Così ogni circostanza, per quanto banale, porta con sé una “Baraka!” come si dice in kiswahili, un bene per noi e per il mondo.
In Africa il Mistero è parte della realtà, e parla attraverso la realtà. Prima dell’arrivo dell’annuncio cristiano il Mistero era una presenza che spaventava e che era necessario tenere buona con sacrifici, preghiere e riti enigmatici. Dominava un sentimento di paura. Ma quando l’Africa ha avuto la grazia di incontrare Cristo, è come se la sua fame di Mistero avesse incontrato il suo pane. La fede in Africa è bambina: non nel senso che è infantile, ma che è immediata, quasi una risposta istintiva al bisogno di un senso e di uno scopo.
In questo ci può essere anche maestra: quante cose impariamo dai bambini! Così, poco meno di quarant’anni dal mio primo arrivo in questo continente, mi sono commosso all’udire le parole del Santo Padre, Papa Benedetto XVI quando lo scorso anno, all’apertura del Sinodo africano a Roma, parlò di questo continente come di un grande «polmone spirituale per un’umanità in crisi di fede e di speranza».
E al ritorno dal Benin, nell’udienza generale del 23 novembre, il Santo Padre aggiungeva: «In Africa ho visto una freschezza del sì alla vita, una freschezza del senso religioso e della speranza, una percezione della realtà nella sua totalità con Dio e non ridotta ad un positivismo che, alla fine, spegne la speranza. Tutto ciò dice che in quel Continente c’è una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale noi possiamo contare, sulla quale la Chiesa può contare».