Nessuna automobile è sbucata all’improvviso da qualche via traversa. Le precedenze sono state tutte rispettate. Non si sono verificati avvenimenti anomali. I valori erano tutti nella norma. Le cose stavano andando esattamente come previsto. C’era – è vero – quel brusco avvallamento sulla strada. Ma quello era lì da sempre, lo conoscevano anche gli asini. Probabilmente la cosa era già stata segnalata in Comune. Via Tal dei Tali all’altezza del civico xy. Ma chissà quanti ce ne sono. Il manto stradale. Ce ne sono a Londra, ce ne sono a Parigi, volete che non ce ne siano a Palermo. E poi in clinica li avevano avvertiti: alle prime avvisaglie. E loro alle prime avvisaglie, pronti via. Una coppia giovane giovane, ventitré anni lei, ventiquattro lui. Due ragazzi. Le sere in giro per Palermo, con la Smart. I locali alla moda, lì come dappertutto. Meravigliosa Palermo. Due ragazzi buoni, innamorati. Un bambino in arrivo. In clinica li avevano avvertiti molto bene: alle prime, anzi, alle primissime avvisaglie.
E poi.
Di chi è stata la colpa? A chi possiamo appioppare la colpa? All’eccesso di velocità? Ma chi non conosce Palermo? E poi a quell’ora? Alle prime avvisaglie bisogna correre, non c’è un minuto da perdere. Quanta allegria, quanta festa in quella fretta! Il nostro Pietro sta per arrivare, il nostro tesoro! Come sarà bello accarezzare i suoi piedini, fargli il bagnetto! Di chi è stata la colpa? Di quell’avvallamento? Ma se era lì da sempre, via! Lo conoscevano tutti. Chi poteva immaginare che l’appuntamento fosse proprio lì? Non ha senso, non ha nessun senso. C’era passato tante volte, di lì. Anche a velocità sostenuta, anche con quel trabiccolo (in senso scherzoso) della Smart. Una macchinetta, comunque sia.
E poi i “se”.
Se avesse avuto una macchina più pesante. Se lui fosse andato appena un po’ meno forte. Se avesse scelto un’altra via per raggiungere l’ospedale. Se quelli dell’ospedale non gli avessero messo tanta fretta. Se per sicurezza lei ci fosse andata per tempo, all’ospedale. Se non fossero stati così giovani. Se non fossero stati così innamorati. Se avessero messo a posto una volta per tutte quella cunetta. Se non fossero stati così impazienti di vedere il loro primo bambino. Se avessero ascoltato i consigli della mamma. Se, se, se.
Perché la vita a volte è così cattiva? Non dobbiamo avere paura di chiedercelo, di offendere qualcuno. La ruota sul punto sbagliato, la Smart che prende il volo, si ribalta, ricade su un fianco. Lui sta bene, ma lei? No, lei non sta bene, non sta affatto bene. Lei morirà, a Palermo, nella meravigliosa Palermo, e dal suo corpo morto – quel corpo così amato – verrà tolto, ancora attaccato a un filo di vita, come chi penda da un precipizio, aggrappato a un arbusto sottile, il piccolo Pietro Zito. Diciamo il suo nome per intero, perché, comunque vadano le cose, lui è per sempre Pietro Zito, l’eroe di questa storia tragica. Dicono che il danno subìto è stato irreparabile, che se sopravviverà la sua sarà una vita molto difficile, qualcuno si chiede se non sia meglio se Gesù se lo riprenda subito. Bè, su questo punto è meglio che ci fermiamo: Gesù saprà bene quello che è meglio, no? O forse è indeciso e attende i nostri suggerimenti?
Chiamiamole preghiere, piuttosto: è più ragionevole. Le nostre preghiere sono l’arbusto, messo lì da Dio, affinché il tempo sia generoso di risposte per Pietro, per il suo disperato papà di ventiquattro anni, per i suoi nonni e per tutto l’abisso di amore che era stato speso, e non certo per arrivare a questa tragedia. Che il tempo possa, comunque vada, offrire una luce a questo papà e al suo bambino, quale che sia la durata della sua vita terrena.
Perché ci vuole la croce, e niente di meno, per cominciare a capire quello che è sotto i nostri occhi, ogni istante, ma che qualcosa di strano c’impedisce di vedere. Sappiamo bene che la vita non ci appartiene. E che quelli che chiamiamo “i nostri figli” non sono affatto nostri. Eppure, com’è difficile capirlo per davvero! Ecco perché ci vuole la croce.
In questa storia non ci sono colpevoli. Il padre di Pietro si tormenterà per anni a causa degli errori fatali che l’attesa felice gli ha fatto commettere. Ma la felicità non è una colpa, la trepidazione non è una colpa. Nessuno ci dirà mai il perché di questa tragedia. Ma questo non significa che sia inutile. In fondo al tunnel della vita o c’è una luce o c’è uno sberleffo. Ma il nostro cuore è certo che c’è solo la luce: e a dirlo è la ragione, non la fede.
Che Dio doni a questo papà in lacrime dei bravi testimoni, così che, nel tempo, possa comprendere che quello che la ragione ci suggerisce è vero. Perché è vero.