Qualche sera fa si parlava, tra amici, di alcuni temi caldi di questo periodo, tra cui i matrimoni e le adozioni tra gay. Si commentavano alcuni interventi negativi in proposito, come quelli di Ernesto Galli della Loggia e di Silvia Vegetti Finzi, come anche le ragioni di un fautore delle adozioni gay – gay egli stesso e padre di una ragazzina – come Tommaso Giartosio, che è tutt’altro che uno sciocco. 

Da principio ci siamo avventurati su sentieri un po’ scivolosi, come la necessità, per una corretta formazione della personalità, di avere genitori di sesso diverso. Una recente sentenza della Cassazione, sia pure su un caso molto particolare, costituisce un precedente nel senso opposto, negando che una coppia omosessuale possa recare danni morali o psicologici ai propri figli. 

Se ci si ferma qui, la discussione rischia di fermarsi sui principi generali, se non addirittura di uno scontro tra specialisti, psicologi dell’età evolutiva, antropologi culturali – gente abituata, come dice Philippe Daverio, a prendere la realtà e studiarla dopo averla spiaccicata su un vetrino.

Il tema forte è un altro, e sta nella rivendicazione dell’uguaglianza dei diritti. Perché una donna di cinquant’anni che vuole avere un figlio non può? Perché una coppia gay non può adottare un bambino? Anche loro, se lo vogliono, devono poterlo avere, o no? 

L’inghippo sta nell’interpretazione della libertà: perché non posso avere un figlio se lo voglio? Che fa il paio con la questione uguale e contraria: perché devo avere un figlio se non lo voglio? La questione non è giuridica ma antropologica: l’estensione di un modello di programmazione (dunque computistico, gestionale, ragionieristico) a tutta la realtà. Con uno smaltimento progressivo di tutto ciò che non può essere pianificato. 

E guai a ricordare che la natura fa il proprio corso. Guai, in generale, a parlare di “natura”. Se ci fate caso, la parola “natura” sta scomparendo dal nostro vocabolario, sostituita da altre parole come “ambiente”, “ecosistema” eccetera. Tranne, s’intende, nell’espressione “meraviglie della natura” che compare nei documentari della Bbc sulla migrazione delle gru, sulla lotta per la vita nel Serengeti o sulle specie animali a rischio nelle zone artiche. 

Così, come gli urbanisti pianificano le città prevedendo perfino quanti abitanti avranno tra cinquant’anni, un giorno non lontano pianificheremo i figli, decidendo quando farli nascere, che aspetto avranno e se preferiranno il violino, la matematica o l’alta cucina. 

Il nodo antropologico è questa possibilità di controllo su tutta la realtà, proprio come aveva immaginato Goebbels, che ebbe il solo demerito di non intuire la chiave che avrebbe reso non solo accettabile ma anche desiderabile tutto questo: l’uguaglianza dei diritti.

A questo punto della discussione, uno dei presenti è uscito con la più semplice delle osservazioni. Strano, ha detto, che venga affermata l’uguaglianza in tutto nel momento di maggior disuguaglianza economica. Ecco una delle tante “cose di sinistra” di cui la sinistra non osa parlare da almeno trent’anni. Se lo spread tra bund e btp, che ci ha tenuti per mesi col fiato sospeso, oggi è calato, l’altro spread − quello vero, quello tra chi dispone di ricchezze sempre più ingenti e chi invece scivola (è cronaca di tutti i giorni) nell’umiliazione della povertà − non fa che crescere.

E se invece di usare l’uguaglianza dei diritti come unità di misura di una civiltà usassimo l’uguaglianza nella dignità (che comprende un’inevitabile quota di benessere materiale)? È veramente strano, infatti (o forse è fin troppo prevedibile), che fra tutte le uguaglianze ci siamo dimenticati proprio di questa.