Lo Spinoza di via del mercato è il titolo di uno dei racconti di Isaac Bashevis Singer contenuti in una raccolta recentemente pubblicata in Spagna. L’edizione è stata promossa da un devoto lettore dello scrittore polacco, che non voleva che la sua opera cadesse nell’oblio. Singer, un ebreo nato nei pressi di Varsavia all’inizio del secolo scorso ed emigrato negli Stati Uniti poco prima dell’invasione nazista, con le sue storie deliziose ci immerge in un mondo yiddish ricco di umanità.

Lo Spinoza di Singer è il professor Fischelson che, per decenni, ha dedicato la vita allo studio del filosofo razionalista. Fischelson, che sta per morire di vecchiaia, si innamora della donna di colore Dobbe e finisce per sposarla. E, cosa più inaspettata, il matrimonio viene consumato. Fischelson, dopo tutto questo, chiede perdono a Spinoza per essersi trasformato in uno “stupido”.

Quella di Singer è una letteratura in cui le cose succedono, a differenza di quanto accade in molta narrativa del XX secolo. Su uno sfondo in cui sono molto presenti le due guerre mondiali e l’ascesa del totalitarismo, c’è una galleria ricca di personaggi, molti dei quali poveri, umiliati e dimenticati. Ma in nessun caso domina l’amarezza o la disperazione. “Uno deve mantenersi sempre allegro”, dice uno dei suoi personaggi che ha perso tutto. Le storie hanno tutto il colore dell’ebraismo centroeuropeo, con i suoi costumi, i suoi misteri, le sue superstizioni. Ma forse ciò che li rende più ebraici è che sono sempre attraversati dall’attesa o dalla comparsa di un avvenimento, in questa vita o in quella futura, che riordina il mondo e fa giustizia.

Il paragone con Kafka, altro scrittore di origine ebraica, è quasi dovuto. Nelle opere dell’autore ceco il lettore ha la sensazione che l’attesa dei suoi personaggi si perda in un labirinto burocratico (Il processo). Ci sono senza dubbio altre interpretazioni di Kakfa e non si può semplificare la sua opera. Ma possiamo forse vedere in Kafka e Singer le figure emblematiche di due modi di intendere l’attesa.

In un caso, quello maggioritario, l’attesa e il desiderio sono visti come un grande enigma senza soluzione, la fonte di una solitudine senza rimedio. È quindi impossibile la gioia e diventa imperativo lo scetticismo. L’insoddisfazione è intesa come un difetto di fabbrica. Sicuramente è un effetto del razionalismo. L’altro filone, assolutamente minoritario, è composto soprattutto da ebrei e cristiani che sono stati fedeli alla loro tradizione (Potok, Péguy, Giussani). Costoro nell’attesa riconoscono già la risposta e nell’insoddisfazione la compagnia che vince la solitudine.

La domanda non si può formulare senza risposta. È un problema di lettura, di interpretazione. “Passano anni e gli uomini ancora soffrono la sete. La stella è ancora in cielo, solo pochissimi la vedono”, ha scritto Luis Rosales in una poesia dedicata all’Epifania. Il poeta, che in un’altra composizione assicura che seguire questa sete porta alla fonte, è più chiaro di uno studioso della materia.

Sicuramente questo dilemma interpretativo è la chiave culturale del nuovo secolo, molto di più delle questioni morali. E bisogna essere realisti. Di fianco all’uomo e all’attesa c’è un terzo personaggio che svolge un ruolo importante: il potere. Il potere economico, politico e sociale, come già denunciava Pasolini negli anni ’70, raggiunge il suo maggior successo quando riesce a imporre, in modo sottile, un’interpretazione del desiderio. Al mercato conviene imporre la dimenticanza, così che la soddisfazione venga identificata con la ripetizione di ciò che ci ha lasciato insoddisfatti. Al potere politico conviene trasformarsi nell’unico riferimento, anche a costo di mutilare quel desiderio che ha permesso al professor Fischelson di riconoscere l’amore quando gli è passato davanti al naso.