La pace e l’aborto

Ormai da 46 anni la Chiesa celebra ogni primo gennaio la “Giornata mondiale della pace”. Il messaggio di Benedetto XVI era su “Beati gli operatori di pace”. ROBI RONZA

Ormai da 46 anni la Chiesa celebra ogni primo gennaio la “Giornata mondiale della pace” e, secondo una tradizione allora inaugurata da Paolo VI, nella circostanza il Papa pubblica un messaggio. Anche se nella sua essenza la Chiesa Cattolica (ossia universale) ha oggi il medesimo valore e ruolo che aveva ai tempi degli Atti degli Apostoli, sta di fatto che non esiste al mondo altro organismo che duri da altrettanto tempo e abbia una presenza altrettanto diffusa sulla faccia della terra. In particolare per quanto attiene alla durata nel tempo essa è più che doppia di quella degli altri più longevi organismi che nella storia persistono con paragonabile continuità; e si tratta  comunque di presenze che al confronto sono minuscole.  

Quale che sia il valore che poi ciascuno sceglie di dare o non dare a quanto la Chiesa indica come  propria ragion d’essere, fare attenzione a quanto il Papa dice in tema (tra l’altro) di relazioni internazionali per alcuni può anche essere una questione di fede, ma per chiunque è  innanzitutto  una questione di buon senso. In forza dell’esperienza storica, geo-sociale, geo-politica e geo-economica, che da ogni tempo e da ogni parte del mondo si raccoglie e viene elaborata dalla Santa Sede, il magistero papale è una fonte di straordinario interesse per chiunque abbia la testa sul collo. 

Certo non è detto che, tanto più in materie come queste, ogni conclusione sia indiscutibile. Non di meno è ragionevole concludere che per farsi un’idea dei problemi e delle possibili soluzioni, che in sede internazionale si pongono nell’anno ora iniziato, non ci sia miglior punto di partenza del messaggio per la Giornata mondiale della Pace. 

“Beati gli operatori di pace” è il titolo di quello che Benedetto XVI ha firmato lo scorso 8 dicembre. Senza pregiudizio per il valore e la rispettiva tempestività dei messaggi precedenti sia dello stesso Benedetto XVI che dei suoi predecessori, ciò che immediatamente colpisce in esso è l’assenza di qualsiasi accenno a specifici eventi e crisi aperte del mondo in cui viviamo. Beninteso il discorso non è per nulla astratto, ma attiene tutto all’orizzonte (non principalmente politico) che si deve considerare, e al metodo (non principalmente diplomatico) che si deve adottare per giungere oggi alla pace, la quale “non è un sogno, non è un’utopia: è possibile”. In questo il messaggio è di una novità radicale. Non suggerisce la ricerca utopica e quindi pericolosamente inutile di una soluzione meccanica e definitiva dello scontro tra violenza e pace, ma indica il fondamento e il metodo cui si deve attingere se si vuole operare efficacemente per la pace.

“Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti disuguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione (…). E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace (…). In altri termini il desiderio di pace corrisponde a un prinipio morale fondamentale, ossia al dovere-diritto a uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo”. 

Da qui Benedetto XVI prende le mosse per delineare un itinerario verso la pace che non parte dalla sfera della politica e specificamente delle relazioni internazionali (come finora si sta facendo con esiti sempre più fallimentari), ma invece ci arriva come all’ultima tappa di un processo che inizia dall’uomo poiché la “negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano (…) mette a repentaglio la costruzione della pace”. Dall’uomo passa quindi alla famiglia e al rispetto della vita, non esitando tra l’altro ad affermare che coloro i quali sostengono “la liberalizzazione dell’aborto forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria”. Un’affermazione che in me, come immagino anche in molti altri che ne furono testimoni diretti o prossimi, ha richiamato alla memoria il discorso – poi largamente censurato dalla stampa internazionale − che madre Teresa di Calcutta fece a Oslo nel novembre 1979 al momento di ricevere il premio Nobel per la Pace. Un discorso in cui, tra la sorpresa di molti degli astanti, affermò con forza che non ci sarà pace nel mondo finché esisteranno Paesi ove l’aborto è legale. 

Senza poterci oltre soffermare in dettaglio sul messaggio – che merita di venire studiato attentamente e che in ogni caso chiunque può recuperare dal sito della Santa Sede − è comunque importante sottolineare come Benedetto XVI, ben consapevole delle radici pre-economiche e pre-politiche della crisi in atto, nella parte finale del suo messaggio lanci un appello al mondo della cultura, della scuola e della ricerca perché aiuti il mondo attuale, e in particolare il mondo politico a dotarsi “di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune”. E come termini affermando che “Emerge in conclusione la necessità di proporre e di promuovere una pedagogia della pace (…). Il male infatti si vince col bene (…). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana”.

 

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