Il Disegno di Legge di stabilità contiene il rifinanziamento del cinque per mille per l’esercizio 2014.

Oltre a tirare un sospiro di sollievo perché, anche quest’anno, è svanito il pericolo della cancellazione dello strumento, allo stesso tempo è importante rilevare i due grossi limiti di tale rifinanziamento:

Un tetto di spesa che, essendo inferiore all’entità effettiva delle scelte, riduce il 5 per mille a disposizione degli enti a una percentuale inferiore;



L’assenza di stabilizzazione, che questa volta era proprio attesa.

Il rifinanziamento è una piccola goccia in un grande mare di problemi, che proverò – molto sommariamente – ad esporre.

Siamo in un momento molto difficile per i soggetti del terzo settore, e conseguentemente per il nostro sistema di welfare, ed è molto importante che questa difficoltà sia compresa nella sua reale entità ed affrontata con tempismo.



Il primo dato da rilevare è che, a fronte della drastica riduzione delle risorse pubbliche destinate al cosiddetto mondo “del sociale”, ci si trova di fronte ad una impennata dei bisogni da parte dei soggetti che si trovano in condizioni di svantaggio e di marginalità.

Si pensi che nel 2008 i fondi statali di carattere sociale ammontavano a euro 2.526 milioni di euro; nel 2013 sono pari a 271 milioni di euro.

In questa situazione, molti soggetti pubblici stanno tornando a muoversi in una logica centralistica che  difende la propria “offerta” di servizi a fronte di una domanda radicalmente mutata, proponendosi altresì come soggetti preposti alla identificazione dei bisogni e programmazione degli interventi, e relegando pertanto il terzo settore al ruolo di mero esecutore.



Oltre alla situazione generale del nostro sistema di welfare, un altro fattore che rende la vita difficile ai soggetti non profit è l’attuale quadro normativo relativo al terzo settore. Si tratta di un quadro complesso, spesso contraddittorio, con vari gradi di adempimenti e controlli che si accavallano, che producono incertezza e costi amministrativi ingenti.

C’è poi il problema del dialogo tiepido con l’Europa, la cui logica “o Stato, o mercato” mal si addice a spiegare la collaborazione tra soggetti pubblici e privati che costituisce il tessuto del nostro sistema di welfare.

È però impressionante la tenuta (strenue) del terzo settore, che sta dimostrando capacità di reinventarsi e di cambiare per rispondere a una situazione radicalmente mutata.

In un momento di contrazione delle risorse ed impennata dei bisogni sociali, è importante che si prenda chiaramente la strada della valorizzazione dei soggetti che operano nei nostri territori.

Valorizzazione che passi, innanzitutto, attraverso una riforma del welfare in chiave sussidiaria, incentrata sulla valutazione dell’effettiva risposta ai bisogni che i soggetti del welfare – privati o pubblici che siano –  realizzano.

Mi sembra che proporre la sussidiarietà come risposta, più che mai in un momento di contrazione delle risorse, sia profondamente realistico; la libera risposta che le persone e le loro aggregazioni offrono, infatti, da sempre si caratterizza per alcuni aspetti oggi più che mai preziosi:

Inventiva e tempismo nella risposta al bisogno;

Capacità di mobilitare positivamente le persone, e quindi di liberare risorse,  tempo e professionalità che vengono messe a disposizione dalla comunità.

In un sistema sussidiario il ruolo dell’ente pubblico – ben lungi dall’essere mortificato –  esce rafforzato, dovendosi occupare di ciò che realmente gli compete: verifica della effettiva copertura territoriale dei bisogni; ripartizione delle risorse sulla base della risposta data, valutata ex post; collaborazione con gli enti del territorio per la condivisione della lettura del bisogno, della programmazione degli interventi e del loro coordinamento.

Inoltre, è quanto mai urgente una semplificazione della normativa del terzo settore, effettuata con l’attenzione a valorizzare tutto ciò che esiste ed opera.

Infine, non è rinviabile l’intrapresa di un dialogo serio con l’Europa, nel quale mettere a tema con chiarezza le specificità del sistema di welfare italiano, in modo da uscire dalla logica per la quale all’agevolazione segue sempre l’apertura del procedimento di infrazione (si veda i casi IMU e IVA per le cooperative sociali).

Credo che l’affronto di questi temi sia diventato urgente e non più rinviabile, per il bene non di categorie astratte, ma delle persone che abitano il nostro Paese.