Che sui giovani questo paese abbia sbagliato tutto o quasi tutto, è dato sin troppo assodato e ormai fatalisticamente accettato. Ma il fatto che rende più grave la situazione è l’equivoco sulle ragioni di questa situazione. Si pensa che tutto questo sia esito di una crisi che schiaccia i più fragili, e non si affronta il tema dell’immobilismo sociale che esisteva prima della crisi, e che semmai ne è una delle cause che la rendono quasi strutturale.
La cosa mi è apparsa chiara in questi giorni, per via di alcune situazioni, oggettivamente sorprendenti, di cui sono stato testimone. Le racconto in breve sintesi. La prima: da due settimane a Milano, Università statale, è iniziato un corso promosso dal Fai dalla fomula davvero originale, immaginata da Giovanni Agosti, docente di storia dell’arte. In 27 “puntate” viene raccontata tutta la vita di Michelangelo: un percorso che incrocia in modo affascinante arte e storia.
La proposta del corso ha avuto un successo clamoroso, con oltre 600 iscritti, che hanno pagato 160 euro a testa per seguirlo. La cosa particolare è che i relatori sono tutti giovani, laureati e dottorandi, per scelta precisa degli organizzatori, con intermezzi di sette lezioni magistrali affidate a grandi professori. Messi alla prova, a parlare ad una platea che potrebbe intimorire per dimensioni, i relatori stanno dimostrandosi assolutamente all’altezza. Per quanto circoscritta sia, la dinamica è emblematica: gli “addetti ai lavori” si sono fatti da parte (hanno rotto a loro modo quell’immobilismo sociale di cui si faceva accenno) e hanno lasciato spazio a un ricambio. Una situazione episodica, ma sufficiente a capire che c’è una generazione che non ha perso tempo, anche se nessuno offriva prospettive.
Secondo episodio (e chiedo scusa per il “conflitto d’interesse”: ma la cosa è talmente sorprendente che merita di essere raccontata): a Casa Testori, alle porte di Milano, giovedì è stata lanciata un’iniziativa molto nuova. Quattro studenti di beni culturali e di architettura delle università milanesi hanno messo in mostra le loro tesi di laurea o di dottorato. Il caso ha voluto che gli “studenti” siano tutte ragazze, che la loro età media sia sotto i 30 anni e che le quattro mostre che hanno montato abbiano sorpreso tutti, in primis i tanti docenti arrivati per l’inaugurazione. Nuove per argomenti e soprattutto nuove per le filosofie espositive adottate. Evidentemente negli anni in cui sono state tenute ai box, non hanno perso tempo. Hanno molto guardato, accumulato idee, oltre che naturalmente studiato. E si sono fatte trovare con un livello di maturità inaspettato.
Naturalmente in questo caso come nell’altro c’è chi ha guidato questi giovani in questa “emersione”: maestri nel vero senso del termine (a Casa Testori, il direttore Davide Dall’Ombra, professore ma neppure quarantenne…) che però ad un certo punto si sono fatti da parte e hanno lasciato i ragazzi a nuotare da soli.
C’è infine una terza circostanza che colpisce. Nelle scorse settimane il governo ha approvato un decreto che segure la filosofia del Live Music Act adottato in Inghilterra. L’idea era stata lanciata dall’ex assessore alla cultura di Milano, Stefano Boeri, e raccolta dal ministro Bray: in sintesi il provvedimento che permette ai locali che propongono musica su piccoli numeri di dare un taglio netto alle infinite procedure burocratiche. È una legge a costo a zero, “facilitante” (prima per far musica in pubblico bisognava passare per ben 11 uffici…). Un’opportunità per centinaia di giovani, confinati a suonare nei garage, per emergere, di mettersi alla prova, magari di guadagnare; certamente un’opportunità per capire se quella può essere la strada per la loro vita (per rendersi conto di quale maturità ci sia in loro, consiglio la lettura della bellissima intervista a un giovane e lanciatissimo rapper, E-Green, pubblicata dal blog musicale battitiperminuto). È presto per dare numeri (saranno numeri che certamente stupiranno), ma anche in questo caso la “lezione” è la stessa: smettiamola con le solite “geremiadi” sulla condizione giovanile e pensiamo invece ad aprire (o liberare) spazi e dare opportunità.