Nessun passo avanti. Il governo di Mariano Rajoy dice che bisogna rispettare la legge e che non è possibile svolgere un referendum sull’indipendenza della Catalogna. Il governo di Barcellona, dal canto suo, ripete che lo farà, succeda quel che succeda, nel 2014. Un’ampia maggioranza di spagnoli ritiene che la Catalogna faccia parte della propria nazione, mentre una grande minoranza di catalani vuole la separazione.
Ci sono ragioni storiche, giuridiche e morali per spiegare che l’unità è un bene. Il diritto internazionale non tutela la secessione e la vocazione universale dei catalani è sempre passata dalla Spagna. Ma siamo arrivati a un punto in cui la polemica su chi ha ragione ha creato un clima irrespirabile. Non c’è dialogo e forse conviene cominciare a chiedersi come iniziare a creare una nuova forma di convivenza. Le soluzioni pratiche possono essere abbastanza utili in questo caso. Per esempio, il sostegno all’indipendenza fa scendere dal 49% al 39% la possibilità di un nuovo patto fiscale. Il piano istituzionale è importante per poter vivere insieme senza urlarsi contro, ma ancor più importante è che faccia riferimento alle ragioni di vita, la vita della gente comune.
Per quanto riguarda il primo livello, la sentenza della Corte Suprema del Canada del 20 agosto 1998 può essere un buon riferimento. È stata emessa dopo che si era tenuto il primo referendum secessionista del Quebec e la Corte stabilì che non si poteva tollerare una consultazione unilaterale, perché ciò violava apertamente i principi di sovranità: una conclusione molto appropriata per le intenzioni dell’attuale governo catalano. Ma il pronunciamento diceva anche altro: il Parlamento del Canada poteva stabilire le condizioni perché questo referendum si svolgesse nel rispetto dei diritti delle minoranze.
Tutto nel caso catalano è un gioco di minoranze. I secessionisti in Catalogna, sebbene siano quasi la maggioranza, sarebbero una minoranza considerando l’intera popolazione spagnola. I sostenitori di una Catalogna spagnola, anche se fossero la maggioranza, sarebbero un’altra minoranza. La democrazia non è un regime in cui la maggioranza costituisce l’unico criterio. La maggioranza governa, per principio costituzionale, rispettando le minoranze. Dopo la sentenza del ’98, in Canada è stata promulgata nel 1999 la cosiddetta Legge di chiarezza che determinò quale fosse la domanda e il quorum necessario per tenere un nuovo referendum riguardante la secessione. Secondo alcuni esperti, un legge del genere sarebbe in linea con la Costituzione spagnola. Con una formula di questo tipo si potrebbe fare un passo avanti e l’indipendentismo catalano dovrebbe mettere alla prova il suo progetto.
C’è però un livello più profondo e decisivo, quello delle ragioni di vita. Da decenni è in corso uno scontro ideologico che paralizza la vita sociale. Per sbloccarla è necessario che affiorino i motivi concreti per cui si vive e si costruiscono imprese, Terzo settore, futuro e benessere. E in questo campo il cammino che i cattolici devono fare è lungo. Da troppo tempo la Chiesa è soggetto ispiratore delle due parti in lotta. Lo è stata per il nazionalismo e anche per l’affermazione del valore di una Spagna rimasto astratto e che si percepisce come un’imposizione. Il posto della Chiesa non è però lì. Papa Francesco ha ripetuto che è un ospedale di campo che raccoglie i feriti della battaglia della post-modernità. Quella della Catalogna è una delle battaglie che ha fatto più feriti. La secolarizzazione, con le sue conseguenze, è invece una delle più sanguinose d’Europa.
Come sempre, la cosa più pertinente è ciò che Péguy definitiva “fare il cristianesimo”. Testimoniare il tipo di vibrazione umana che ha portato Gesù al mondo. Una vibrazione che ti da una stima dell’altro grazie alla quale è possibile far ripartire qualsiasi progetto di convivenza. La verità, anche quella della nazione, non può affermarsi come un principio assoluto e storico: deve nascere da una relazione.