Mi sono ritrovato insieme con alcuni amici per un po di giorni questa estate per riflettere, paragonandoci colle storie di ciascuno, sul tema “come possiamo vivere?” La risposta che ci siamo dati per questa domanda fondamentale è stata “stare in una compagnia che ci rende certi di un buon destino”.
“Come vivere” non può coincidere, infatti, con una serie precaria di miglioramenti di condizioni e circostanze. Invece, esige una risposta totalizzante che rende ogni momento della vita carico di un significato ultimo, che lo fa entrare in un’avventura che vale la pena vivere, che lo illumina con un orizzonte infinito.
La festa di Tutti i Santi ci fa ricuperare la coscienza che col battesimo siamo stati presi nell’unica compagnia la cui testimonianza ci rende sicuri di un destino buono, trasformando la nostra vita; che può apparire come un incubo, a volte, ma che è una grande avventura in cui amore e verità vincono.
Tutto questo mi è tornato alla mente questa settimana quando sono andato con alcuni amici a vedere il film “Gravity”. Esso ci presenta un personaggio in fuga dalla vita, dai rapporti e dalla terra a causa di un’esperienza traumatizzante. La protagonista si trova coinvolta in un incidente drammatico, in cui viene salvata per mezzo del sacrificio gratuito dalla parte di un collega. Questo gesto, insieme con un altro segno potente, apre a lei un nuovo orizzonte, un destino buono in cui le promesse della vita che appaiono negate in questa vita in realtà sono realizzate. La sua esperienza si trasforma da un incubo in un’avventura. Non sarà più in fuga, ma si attaccherà all’avventura, alla vita, alla terra.
I santi – uomini, donne, bambini, anziani, potenti e poveri, semplici e colti – sono una compagnia che ci raggiunge da ogni secolo cristiano, da ogni angolo della terra, da ogni circostanza umana. E ci testimoniano la stessa cosa: che noi, in compagnia di Gesù, abbiamo un destino grande e buono. E ciò rende la vita – ora – una cosa bella.
Un bell’esempio di questo l’ho visto l’anno scorso, quando ho sentito una decina di persone, medici, credenti e no, raccontare di una ragazzina loro paziente. Morendo di cancro, lei, nel nome di Cristo, incontrato in una compagnia di giovani cristiani, ha saputo, con grande realismo e saggezza, abbracciare tutto nella gioia. Amava la sua vita, la sua avventura. Si chiama Giulia Gabrieli, di Bergamo.
Ricordo un medico, prima non credente, che ha detto di aver cominciato a vedere la vita diversamente dopo quell’incontro. Cioè ha dovuto aprirsi ad una nuova ipotesi sulla realtà, l’ipotesi di un destino buono.
La Lettera agli Ebrei ci chiama a renderci conto della comunione a cui apparteniamo: “Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb. 12, 1-2).
Che la festa di oggi ci trasmetta la grazia di essere coscienti di che compagnia è la nostra nella Chiesa, quella moltitudine che ci rende sicuri di un destino buono.