Ramin Bahrami – l’affermato pianista di origini iraniane – è diventato cattolico. Il percorso della conversione è di solito complesso e i motivi che portano ad una svolta tanto importante sono multiformi e di diverso peso. Bahrami, per quanto riguarda la sua personale vicenda, racconta (in una intervista ad Avvenire) di un padre attento alle altre religioni oltre che al proprio islamismo, di un momento di difficoltà nel quale l’ingresso in un chiesa veneziana gli ha rinfocolato l’interesse per il cristianesimo e glielo ha fatto percepire come una chiamata per lui stesso. In questo percorso ci sono poi stati i rapporti umani, come quello con la comunità del paese natale della moglie, in Calabria, che lo ha «abbracciato come un fratello» e gli ha fatto «sentire la gioia di essere cristiano». Nel percorso di Bahrami verso la conversione c’è però un ulteriore elemento, strettamente legato alla sua scelta professionale: la musica ed in particolare la musica di Johann Sebastian Bach: «Per me Bach è la voce di Dio. È il compositore più perfetto, più profondo: in lui ho sempre trovato una fonte di energia indistruttibile che si rinnova ascolto dopo ascolto».
Va da sé che uno, legittimamente, potrebbe dire che a lui Bach non dice niente e, anzi lo annoia, mentre altre musiche, completamente diverse, gli suggeriscono pensieri che lo illuminano ed emozioni che lo coinvolgono. Qui non è questione di dare una valutazione sulla musica del cantor di Lipsia – che, comunque, è uno dei vertici dell’arte di tutti i tempi -, ma piuttosto di cogliere il metodo che permette che un fenomeno di carattere estetico – la musica in questo caso – diventi fattore importante in un processo personalissimo ed estremamente delicato come la conversione. Voglio dire che di fronte ad una musica spesso ci limitiamo ad un superficiale «Mi piace. Non mi piace» ed è finita lì; il massimo che l’ascolto produce è una qualche riflessione tecnica o un effimero stato d’animo.
Nella citata intervista Bahrami dice, invece, che suonando Bach lui ci ha messo le proprie «esperienze di vita», vale a dire ha coinvolto se stesso ad un livello ben più profondo di quanto richiedano le necessità professionali di interprete o il gusto di appassionato. È attraverso questa radicale implicazione che il fenomeno estetico – un brano musicale – diventa un passo del cammino esistenziale. Ed è solo attraverso questa messa in gioco della vita come esperienza personale che si capisce meglio quel brano stesso. Ad esempio raccontando della sua ultima fatica discografica bachiana, le Invenzioni a due voci e le Sinfonie a tre voci, Bahrami coglie aspetti che vanno ben al di là della pura estetica: «Queste pagine sono l’emblema della possibilità del dialogo, brevi composizioni dove due voci si cercano e si parlano. E poi fanno spazio ad altre voci e il dialogo si allarga fino a diventare polifonia. In queste pagine senti che ogni voce è necessaria per l’altra e che ogni voce rispetta l’altra». E così i brevi brani del vecchio Bach, che si potrebbero sentire ed eseguire come aridi studi, diventano – per il tramite di quel coinvolgimento esperienziale – dei gioielli di saggezza e di bellezza di cui ci si può ricordare quando la nostra inconfondibile voce ne incontra una diversa.