Nel giro di pochi giorni abbiamo assistito a fatti che documentano quanto siano gravi e profonde le ferite che abbiamo inferto a quello che è il vero patrimonio italiano: il paesaggio. Prima Napoli ha accolto la protesta e la disperazione degli abitanti della Terra dei fuochi, una terra violata e offesa, nel senso letterale del termine, dai rifiuti tossici che vi sono stati sepolti. Poi la bellissima Sardegna, travolta al nord da un evento atmosferico di eccezionali dimensioni, che ha infierito su un territorio reso fragile dall’incuria. Che il paesaggio italiano sia una immensa ricchezza sperperata, è purtroppo una tragica realtà. E fanno bene le grandi organizzazioni come Fai, Legambiente e Italia Nostra a chiedere che la messa in sicurezza del territorio diventi una priorità assoluta, addirittura venga considerata come la più grande opera pubblica su cui dovremmo investire.
È un’evidenza palmare che il paesaggio, punto di raccordo su cui confluiscono tutte le “eccellenze” italiane, dall’arte, alle bellezze naturali, al cibo e così via, sia un tesoro incommensurabile. E il pensiero di consegnare alle generazioni che verranno un patrimonio drammaticamente profanato dall’irresponsabilità tronfia e ingorda che ha così spesso contrassegnato tante scelte sventurate, è cosa che deve riempire davvero di vergogna.
Invece al massimo si arriva all’indignazione. L’indignazione è certamente figlia di una consapevolezza della situazione che abbiamo creato e che le periodiche bombe d’acqua mettono impietosamente sotto i riflettori. Ma l’indignazione è anche quel sentimento che non traduce mai la consapevolezza in atteggiamenti concreti, in un altro modo di vivere e trattare questo nostro meraviglioso paese. L’indignazione insomma è una leva retorica, che alla fine non cambia le cose. E così noi continuiamo a nascondere le piccole o grandi lesioni inferte al nostro paesaggio, sotto il tappeto di una sostanziale indifferenza.
Oppure l’indignazione si trasforma in pura strumentalizzazione, come sta accadendo nel caso dei No Tav che ieri si sono resi protagonisti di una nuova giornata di scontri e di violenze, a Roma. Loro si mettono in azione con il pretesto di preservare un pezzo di territorio da un progetto che vivono come una violazione (per lo meno i pochi No Tav valsusini; i più sono di importazione). In realtà il loro è solo un fuoco di sbarramento aprioristico e irrazionale e il territorio viene semplicemente usato come una clava ad usum di altre battaglie e di altri obiettivi.
Nel migliore dei casi i No Tav esprimono un oltranzismo e un integralismo, secondo il quale la custodia del paesaggio sarebbe incompatibile con qualsiasi processo di sviluppo e di modernizzazione: che è un altro modo di condannare e di marginalizzare il paesaggio stesso, in una decrescita dhe nei fatti è un tristissimo declino.
Insomma il paesaggio in Italia o è terreno da far west, o rischia di trovarsi museificato. O è selvaggiamente violato o viene trasformato in un totem intoccabile. Invece lo si salva solo lo concepiamo come organismo vivo. Un organismo che va rispettato e amato, nelle scelte di ogni giorno, nel conoscerlo davvero, nell’educazione a quei gesti pazienti che passano di generazione in generazione. Tutto il resto è solo buona o cattiva ideologia.