L’ultima domenica di novembre la Chiesa festeggia la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.

Cosa dice alle nostre esistenze questa verità? Dice che c’è un signore del mondo, che le sorti dell’umanità non sono guidate dal caso o da chi ha la forza di conquistare il potere. Perché ogni potere, anche mondano, è concesso da Dio. Egli stesso conduce la storia, veglia sul cammino dei popoli e sulla vita di ogni uomo.

Nel tempo poi dimostra la sua signoria originaria e la gloria del suo Regno di pace, non solo con la sua onnipotenza, ma dall’interno delle vicende umane. Quasi, verrebbe da dire, nonostante le contraddizioni che sempre muovono le azioni umane.

Quando Pilato gli chiede “dunque tu sei re?”, Gesù risponde “tu lo dici”. Pilato dice la verità, anche se il suo intento è dispregiativo o canzonatorio.

E quando Caifa, il sommo sacerdote di Israele, decreta di far morire Gesù perché è meglio che si sacrifichi uno solo per il bene di tutto il popolo, sta collaborando, a sua insaputa, alla venuta del Regno di Dio. Commenta il papa emerito Benedetto XVI nel secondo volume sulla vita di Gesù di Nazareth: “Questo significa che la croce rispondeva ad una necessità divina e che Caifa con la sua decisione divenne, in ultima analisi, l’esecutore della volontà di Dio, anche se la sua motivazione personale era impura, non rispondente alla volontà di Dio, ma mirante a scopi egoistici“. 

Gesù rivela di essere il signore della storia senza contraddirla, senza annientare il male con la potenza della sua regalità e l’azione della sua giustizia. Prende possesso della storia dall’interno di avvenimenti umani che sono mossi quasi sempre da altre logiche.

Entriamo così in un mistero profondo, per noi razionalmente incomprensibile, dove si vede che davvero Gesù era Dio, in quanto solo Dio può trarre un bene da un male conclamato. Entriamo nel mistero stesso della storia, dove Dio mostra la sua potenza dentro un amore che abbraccia il peccato e il male, facendoli diventare occasione di un bene più grande. Egli assume la condizione umana, tutta intera, fino al punto di redimerla dall’interno di logiche perverse che ne hanno condizionato lo sviluppo in pienezza.

Certo le responsabilità dei singoli che commettono il male non è annullata. Come per coloro che collaborarono alla condanna di Gesù. Ciascuno ebbe una responsabilità ben precisa e meritevole di giudizio, tanto più grave quanto più grande fu la vicinanza di vita trascorsa con Gesù e la consapevolezza che si stava commettendo un inaudito delitto. Si stava ammazzando Dio. 

Dirà Gesù a Pilato: “chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande“.

Tale responsabilità rimane. Ma la condanna peggiore è il non voler guardare alla misericordia di cui Gesù li fa oggetto, proprio nel momento in cui prende possesso del suo regno sul trono della croce. Paradossalmente bastava accettare il dolore del loro delitto e del loro tradimento.

Giuda non sopportò quel dolore come occasione di un amore più grande. Pietro visse tutta la vita con la ferita del suo rinnegamento che divenne strada feconda per annunciare al mondo che Dio già stava manifestando il suo regno di pace.

Sono un missionario. Viaggiando nelle case dove sono presenti i miei fratelli, ho conosciuto una donna che aveva commesso un grave peccato e che non pensava possibile che Gesù la potesse perdonare. La testimonianza del dolore che viveva diede il coraggio ad un’altra donna di non fare lo stesso peccato. Capì che era impossibile che Dio si stava servendo di lei per fare del bene, senza aver ricevuto il suo perdono. Il dolore non andò via. Ma il bene fu più grande.

Così, non solo Gesù manifesta la sua signoria sul mondo e sulla storia nonostante le nostre azioni malvagie o almeno precarie, ma ha bisogno della verità della nostra testimonianza e della nostra vita per poter regnare nelle anime di tutti gli uomini e prendere possesso definitivo dell’universo.