Ieri, a Lecco, si è celebrato il funerale di un mio amico, il giornalista e scrittore Angelo Sala. Non tutti i funerali sono tristi, e questo infatti non lo era. La chiesa era piena zeppa delle persone più diverse: gente del popolo, intellettuali, la divisione locale degli alpini. Tutti avevamo bisogno di ringraziarlo per aver reso migliore la nostra vita, tutti gli volevamo bene, perché Angelo – perdonatemi la retorica, ma in questo caso è proprio vero – era qualcosa di più di un uomo straordinario: era un uomo.
Il valore della sua vita si vedeva lì, era evidente: senza che Angelo abbia mai avuto bisogno di valutarsi, di darsi un voto. Non credo abbia mai pensato cose come “io valgo più di come sono considerato”, “io sono un genio” oppure “io sono una nullità”. Lasciava che fosse la realtà (ossia l’opera di Dio) a giudicarlo.
Le storie tristi sono ben diverse da questa, e ci aggrediscono dovunque. Appena tornato a casa, accendo meccanicamente il computer per collegarmi con un sito di news e quasi subito inciampo nella notizia di quella minorenne che offriva prestazioni sessuali in cambio di una ricarica telefonica.
Non avevo fatto in tempo a dire a me stesso che avrei desiderato anch’io morire come Angelo, ed eccomi a tu per tu con l’esatto opposto di quella speranza.
Perché quella ragazza non sa una cosa: che il costo di quella ricarica è esattamente il prezzo della sua vita. Se ti vendi per cinquanta euro, è segno che pensi di valere cinquanta euro. Ognuno ha il suo prezzo, dice un proverbio cinico ma non stupido.
Non vado in cerca di cause. Non do la colpa agli indirizzi degli educatori negli anni settanta e ottanta, non do la colpa al laissez-faire che invase le teorie degli psicologi in voga, e non la do nemmeno all’indirizzo culturale della nostra società, tutto centrato sul mito del successo e sull’apparire.
Purtroppo, casi come questo si sono sempre verificati, non sono fatti nuovi – anzi, una grossa fetta di tristezza sta proprio nella constatazione che, in questo caso, sotto il sole sembra davvero non esserci nulla di nuovo.
Niente di nuovo! Mai niente di nuovo! Questo è il problema. Lasciamo stare per un momento, solo per un momento, il disagio sociale, e domandiamoci in cosa spera la gente senza nessun disagio, la gente che sta bene, la gente che ha capito come si fa.
Se non c’è mai niente di nuovo, io che cosa sono? Una ricarica da venticinque, ecco cosa sono. E intanto i giornali e la tv parlano e parlano di “autostima”, ossia precisamente del prezzo che siamo in grado di dare a noi stessi.
Ma come si fa a tenere alto il prezzo, se noi siamo solo pezzi di materia che rotola lungo il pendio del tempo, e i nostri anni da quindici diventano venti, poi trenta, poi settanta e tutto rimane come sempre, e noi siamo solo ingranaggi di una macchina?
Al funerale di Angelo Sala c’era la risposta a tutte queste domande. La sua persona semplice, umile, intelligente e attenta testimoniava con prepotenza un’origine nuova, che nulla aveva a che vedere col pendio del tempo e con la macchina della società.
Angelo sapeva che il nostro prezzo consiste tutto in qualcosa che non è nostro, e che abbiamo ricevuto gratuitamente. Vorrei chiamarla “fede cristiana”, e così è: ma solo se con questa parola intendiamo la dimensione normale della vita, la vita umana così come essa è, la realizzazione di quell’umanità che Dio immaginò per ciascuno di noi, creandoci dal nulla.
In fondo, nel prezzo della ricarica con cui quella povera ragazza si è venduta c’è anche l’intuizione, giusta, di questo nulla che siamo. Ciò che è nostro dovere dire a quella ragazza è che quel nulla è stato amato da Dio a tal punto da diventare la cosa più preziosa dell’universo.