Un siriano a Mosca

ELENA MAZZOLA racconta la storia di un amico siriano, cristiano ortodosso, in Russia per lavoro con la famiglia a Damasco: come sarà per loro questo Natale?

A Mosca il Natale cattolico passa quasi in sordina: per la stragrande maggior parte della gente è un normale giorno lavorativo perché il popolo russo festeggia il Natale ortodosso il 7 gennaio. L’attesa si allunga mentre la frenesia aumenta a dismisura concentrandosi tutta nella foga in cui la metropoli sembra impazzire alla ricerca dei regali di capodanno, la vera grande festa familiare che qui tutti sentono e amano. 

Dov’è per noi la differenza tra la gioia profonda e l’allegria mondana di cui ci ha parlato Papa Francesco? Siamo presi nel vortice dei preparativi come tutti, anche noi parte di questa umanità che vorrebbe saper amare ma non riesce e regala sempre più spesso odio fratricida. 

Abbiamo a pranzo un amico siriano, leggiamo nei suoi occhi una sofferenza indicibile fatta di persone care che a Damasco han visto saltare in aria davanti ai loro occhi il pullmino che portava i bambini a scuola, di villaggi cristiani completamente annientati dai terroristi, di un paese martoriato e in ginocchio perché vittima di spietati giochi politici. Siriano, cristiano ortodosso, siamo amici da circa un anno: è in Russia per lavoro mentre la moglie e due figli di dieci e dodici anni sono “a casa”, cioè sfollati in un paesino fuori Damasco dove è un po’ meno pericoloso vivere. Torna a trovarli per Natale, ha davanti un viaggio difficile e pieno di incognite. 

Mentre lo aspettiamo penso: cosa vorrà dire per lui il Natale, questo Natale? Non c’è «fiaba zuccherosa» che tenga né possibile «allegria mondana», il mondo reale è troppo duro e di allegro ha ben poco. Fin qui è chiaro ma … e la gioia? 

Intanto lui, dopo aver passato una notte insonne in treno, ci raggiunge a Mosca da San Pietroburgo: ha due valige enormi e qui nevica forte e fa freddo. Entra in casa, prende un caffè, poi ci dice che deve fare delle commissioni e torna dopo mezz’ora con sacchetti pieni di regali… per noi! Gli chiedi semplicemente «come stai?» e ti risponde «adesso bene, adesso sono qui con voi». Racconta poco del suo paese e di quello che lo aspetta, gli chiediamo dei figli (non è nemmeno semplice parlarsi, tra un inglese stentato e il russo che migliora ma non è ancora esattamente fluente) e all’improvviso lui sorride e risponde: «Mio figlio Mishel … è un angelo! Letteralmente! Se volete vi faccio vedere…». Ride divertito, prende il computer e ci mostra un video girato qualche anno prima a Damasco. Pochi minuti che mostrano una recita natalizia, la scena dell’annunciazione: c’è una bimba siriana – bellissima con due occhioni neri vispi vispi –  che rappresenta la Madonna e poi entra il suo Mishel, l’arcangelo, sbatte le alucce e attacca il dialogo, in arabo. Lui traduce per noi in russo e ride felice: «vedete mio figlio è un angelo, proprio un angelo, ve l’avevo detto!» 

«Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di gioia. Gli evangelisti hanno descritto una gioia. Non si fanno considerazioni sul mondo ingiusto, su come faccia Dio a nascere in un mondo così»: davanti alla gioia così pura e profonda che traluce e trapassa il suo dolore le parole del Papa riaccadono. Perché lui ride davvero, con gusto, e mentre il suo cuore è tutto pieno di un lancinante e umanissimo «perché?», è tranquillo come un bambino davanti allo sguardo di Dio: «Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, e mi fido del Tuo sguardo». 

Dopo pranzo partecipiamo a un momento di canti e letture sul Natale e alla fine facciamo per lui una colletta che andrà a favore di un’opera di carità di Damasco. «Adesso ci sono tanti governi stranieri che raccolgono soldi per aiutare il mio paese» ci dice «e quello che mi darete voi stasera non è niente in confronto agli aiuti che riceviamo ma per me è il contributo più prezioso perché voi lo fate nel nome di Gesù e così mi permettete di portare al popolo siriano la cosa più importante. Ormai in Siria si sente solo il suono della guerra e si vive immersi nelle tenebre della cultura della morte, ma attraverso la mano che mi tendete ora nel nome di Cristo io posso portare alla mia gente la speranza, portare il suono di Cristo che è il senso della vita».

Hai l’impressione di essere davanti a una roccia incrollabile, a qualcosa di invulnerabile e di infinitamente più potente delle bombe. Eppure non è che un uomo, il più indifeso, il più ferito e il più povero tra noi, il più umiliato.  

«Perché Dio è con noi», abbiamo appena ascoltato cantare. «Perché Dio è con noi»  ripete insistentemente il coro invitandoci a ricordarci di Chi siamo mentre il solista scandisce: «Sappiatelo, popoli: sarete frantumati. Ascoltate voi tutte, nazioni lontane, cingete le armi e sarete frantumate. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te… perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace».


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