Celeste, la bimba distrutta dalla leucemia, si mette a gridare durante la Messa che sto celebrando. Siamo alla prima lettura. Celeste grida per il dolore. Urla terribili, soffocanti. Il mio cuore, che tutti i giorni fa i conti con queste grida, sembra non farcela. Mentre l’infermiera legge la prima lettura della Messa, io mi siedo a fianco di Celeste, le stringo le mani, le braccia, ma le sue grida sono più forti del mio povero cuore di padre. Non ascolto quanto l’infermiera legge, ascolto solo quel grido divino di un nuovo Gesù che sta morendo sulla croce. Terminata la lettura devo alzarmi per leggere il Vangelo… ma non riesco. Non riuscivo a parlare, volevo stare lì inchiodato al suo fianco. Però la Messa doveva continuare. Al momento dell’offertorio insieme con il pane e il vino ho offerto Celeste al Padre per tutti noi. Ma il dramma era appena iniziato perché, arrivato alla consacrazione, mentre pronunciavo le parole di Gesù «Fate questo in memoria di me», Celeste scoppiò in un grido fortissimo e lacerante che pervase tutta la clinica. Il medico di turno e le infermiere accorsero, l’ennesima dose di morfina… Ma le urla continuavano. Ecco, mi sentivo come la Madonna ai piedi della croce, con Gesù che, come dice il Vangelo, «emesso un forte grido, spirò». Quel «grido» di Gesù lo vedevo in quel calice che alzavo e in quell’urlo pieno di dolore di Celeste. In quel momento era un’unica scena, quella del Calvario, quella di Celeste, quella della Messa. Questo è il «centuplo quaggiù» di cui parla il Vangelo, perché il centuplo è l’uomo che grida, che riconosce, cosciente o no, il Mistero. Dico cosciente o no perché anche i miei piccoli figli ammalati non ne hanno coscienza, ma appartengono al corpo mistico di Dio, Cristo.

Ecco un altro fatto accadutomi ieri sera. Verso le 20,30 vado a mettere a letto i miei 14 bambini della casetta di Betlemme numero 2, la casetta più numerosa con quattro bebè. Ogni volta è uno spettacolo: «Papà, papà, diciamo le preghiere!», e come angioletti si mettono in ginocchio sul pavimento e, dopo un bacino, tutti a letto. Tornando alla clinica, dopo aver salutato i bambini, rimango a fianco di Victor, Aldo e Cristina. Victor è come sempre in preda alla febbre alta… ma non geme nonostante le grandi piaghe da decubito. Poi vedo il volto di Cristina che soffre. È piccola, di appena un anno e mezzo, sorda e quasi cieca. 

Eppure i suoi occhi neri e bellissimi seguono i miei movimenti. Quasi non mi vede, ma il contatto fisico certamente lo avverte. A motivo delle convulsioni capita che si morda la lingua. Li guardo tutti e tre e penso ai loro coetanei che alla stessa ora dormono tra le carezze e le tenerezze dei genitori. Loro invece hanno solo me e le infermiere che cercano di fare del loro meglio. Li riempio di baci e di carezze finché non si addormentano. Adesso dormono tutti e tre, li guardo e continuo a pregare. Mi sembra di essere in Paradiso, con gli angioletti. Penso a Gesù quando dice: «Lasciate che i bambini vengano a me perché di essi è il regno dei cieli». Sto per andarmene e si avvicina la moglie di un ammalato grave di Aids: «Padre, le chiedo il permesso di poter andare al mercato generale a sfogliare mais. Ogni borsa di 50 kg sfogliata mi rende 2.000 guaraní (1 euro = 5.800 guaraní) e in una notte riesco a sfogliarne anche 15 sacche. Padre, mi dia il permesso perché oggi è venuto uno dei miei quattro figli dicendomi che non mangiano da 2 giorni». La guardo e il mio cuore scoppia vedendo le sue lacrime. Tiro fuori il portafoglio ma lei: «No padre, quello che mi da è già troppo, io voglio lavorare e guadagnarmeli». Prego per lei e l’ho assunta oggi come lavandaia. Era raggiante per la gioia.