Le conseguenze delle dimissioni di Papa Benedetto XVI e le caratteristiche che dovrà avere il suo successore sono al centro delle discussioni di cattolici e non cattolici qui negli Stati Uniti. La questione focale è cosa significherà questa scelta per il futuro della Chiesa cattolica e del miliardo e passa di suoi membri.

In un interessante articolo su The Week si fa notare che, in passato, la Chiesa cattolica era abituata a muoversi al passo dei secoli. Ora, invece, sembra essersi persa anch’essa nella nostra democratica cultura globale dominata da tabloid tecnologici. “Nei giorni seguenti all’annuncio di Papa Benedetto XVI sulle sue dimissioni, si sono sentite molte ipotesi su chi verrà scelto come suo successore e sulle conseguenze che tale scelta avrà per il futuro della Chiesa cattolica romana e del suo miliardo e più di membri in tutto il mondo. Il prossimo papa verrà dall’Europa, dove la Chiesa sta morendo, o dal Sud del mondo, dove è il suo futuro? Sarà un riformatore come Giovanni XXIII, che indisse l’innovatore Concilio Vaticano II? O un timido tradizionalista come Paolo VI che, nel 1968, riaffermò il divieto della Chiesa sul controllo artificiale delle nascite, superando le obiezioni dei teologi e studiosi da lui convocati per valutare la possibilità di abolirlo?

Queste possono anche essere questioni importanti, ma lo sono molto meno della domanda più profonda di come la Chiesa si pone di fronte a una cultura nella quale le parole fondamentali del vocabolario cristiano hanno perso il loro significato.

Il cattolicesimo è la religione della Parola, del Logos che si è fatto carne, un avvenimento che avviene attraverso simboli che non sono arbitrari. La domanda è: cos’è la parola nelle modalità in cui comunichiamo oggi? Comunichiamo veramente in un mondo internet? Cosa è un simbolo in un mondo simile?

Qualcuno ha suggerito come soluzione per il Vaticano l’apertura di un sofisticato servizio di comunicazioni. Due mesi fa il Vaticano ha aperto a Twitter e ha cominciato a “twittare” con il nome del Pontefice.

A mio parere, metodi di comunicazione più efficienti non vanno alla radice del problema, che è la necessità per la Chiesa di evangelizzare una cultura democratica globale dominata da una sensibilità da tabloid alimentati tecnologicamente.

L’articolo si concentra su come le modalità attuali di comunicare abbiano diffuso la conoscenza degli scandali nella Chiesa, ma così facendo neppure tocca le sfide reali che l’attuale struttura comunicativa pone alla Chiesa.

Quanta comunicazione avviene realmente nell’era di Twitter? Nella attuale cultura, il punto non è forse quello dell’informazione più che della comunicazione, trasformando i simboli in artificiali armi del potere?

In un simile mondo, evangelizzare significa risvegliare nell’uomo il bisogno di infinito che ha nel cuore, quell’infinito per cui è stato creato. Questa è la nuova evangelizzazione che eredita ora il nuovo Papa.