La nuova sfida di Benedetto

La rinuncia del Papa porta alla riflessione. FERNANDO DE HARO spiega come dietro al gesto di Ratzinger ci sia la fine di un'era e l'inizio di quella nuova, alla riscoperta del cristianesimo

Alle 20:00 di oggi terminerà un’era. Non cambierà solamente il modo di essere Papa, ma termineranno altre cose, stando a quel che ha detto lo stesso Benedetto XVI alcune settimane fa a Peter Seewald. La rinuncia di Ratzinger ha reso evidente che bisogna seguire attentamente le conversazioni tra il Papa e questo giornalista, che è diventato il suo confidente. Nel loro ultimo incontro, Seewald ha chiesto al Papa se lui rappresentasse la fine della vecchia era o l’inizio di quella nuova. “Entrambe le cose”, ha risposto.



Cosa avrà voluto dire Benedetto XVI con questa enigmatica risposta? Non è il momento di speculare, ma si possono leggere alcuni avvenimenti e alcune parole dello stesso Papa attraverso questa chiave. Nel corso di un suo recente incontro con i sacerdoti di Roma, in occasione della Quaresima, il Papa ha insistito nell’indicare l’obiettivo rimasto incompiuto, dopo 50 anni, di applicare il vero Concilio Vaticano II e non quello che è stato creato dai giornalisti. L’inizio della nuova era è applicare il Concilio come è stato realmente concepito?



Nel suo libro intervista con Seewald, Luce del mondo, lo stesso Benedetto XVI offre indizi su come intende la missione storica del suo pontificato che sta per finire. Lo descrive come molto collegato a quello di Giovanni Paolo II: “Karol Wojtyla è stato per così dire donato da Dio alla Chiesa in una situazione molto particolare, critica, nella quale la generazione marxista, la generazione del ’68, metteva in discussione l’intero Occidente, e nella quale poi il socialismo reale è crollato. Aprire un varco alla fede in questa situazione di contrapposizione, indicare la fede come centro e presentarla come la via, ha rappresentato un momento storico di particolare rilievo”. E poco dopo aggiunge: “Ora si tratta di portare avanti quanto iniziato e di comprendere la drammaticità del nostro tempo, […] di dare al cristianesimo quella semplicità e quella profondità senza le quali non si può operare”.



Cristianesimo semplice e profondo di fronte alla drammaticità del nostro tempo. Cinquant’anni sono un periodo breve nella storia della Chiesa. Dopo l’egemonia di una cultura atea, bisogna segnalare la fede come essenziale. Benedetto XVI ha presentato ripetutamente il Concilio Vaticano II come la risposta della Chiesa all’uomo moderno. Con documenti apparentemente di secondo livello come la Dignitatis humanae sulla libertà religiosa e la Nostra aetate, sul dialogo tra le religioni, si chiude il periodo iniziato con il Syllabus di Pio IX del 1864, prima risposta alle rivoluzioni liberali di fine XVIII secolo e inizio XIX. Allo stesso modo si supera il tipo di risposta che nelle decadi seguenti è stata data alla secolarizzazione; una risposta basata su organizzazioni cattoliche difenditrici del diritto naturale e dell’etica cristiana, apparentemente capaci di recuperare il terreno guadagnato dall’Illuminismo, che è stato visto, in larga parte, come nemico.

Benedetto XVI insiste continuamente sul fatto che “la modernità non è fatta solamente di cose negative. Se così fosse non potrebbe durare a lungo”. Questo incontro tra il cristianesimo e la modernità in che termini avviene? “L’essere cristiano è esso stesso qualcosa di vivo, di moderno, che attraversa, formandola e plasmandola, tutta la mia modernità”, risponde il Papa stesso.

Ma il Papa riconosce che questa esperienza risulta estranea a molti uomini moderni. Il dialogo con Habermas non è stato formale e in un altro passaggio di Luce del mondo Benedetto XVI indica qual è la sfida nel nuovo scenario attraverso le conversazioni con il filosofo. “Ha ragione (Habermas) quando dice che il processo interiore di traduzione delle grandi parole (cristiane) nell’immagine verbale e concettuale del nostro tempo sta avanzando, ma ancora non è stata realmente raggiunta. (La traduzione) può essere conseguita se gli uomini vivono il cristianesimo da Colui che verrà […]. L’espressione, la traduzione intellettuale, presuppone la traduzione esistenziale. In questo senso sono i santi che vivono l’essere cristiano nel presente e nel futuro. E, a partire dalla loro esistenza, Colui che viene può tradursi in un modo che possa farsi presente nell’orizzonte della comprensione del mondo secolare. Questa è la grande sfida”.

Attenzione, perché il lavoro non è solo intellettuale (quante volte si è ripetuto in questi giorni che Ratzinger è un grande intellettuale!). Cultura e fede sono espressioni di uno stesso fenomeno. È Cristo che sta venendo, che sta accadendo esistenzialmente, ciò che rende possibile un cristianesimo che può essere compreso dal mondo. Ciò che gli stessi cristiani, uomini moderni, non riducono a puro nominalismo o devota riverenza. Il migliore esempio è la rinuncia che ha fatto colui che da stasera sarà Sua Santità, Papa emerito. È così che si fa il cristianesimo. È così che comincia l’era nuova.

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