Charlie Rose è un commentatore televisivo molto apprezzato, il cui programma di interviste e dibattiti ha un pubblico di studiosi, intellettuali, artisti famosi e di altri professionisti che, generalmente, disdegnano questo tipo di trasmissioni, di solito prese d’assalto da celebrità più popolari. Non mi è spiaciuto, quindi, partecipare nel 2000 alla sua trasmissione, insieme a Helen Whitney, artista, scrittore, TV producer e regista.

Il tema era la promozione del suo film-documentario sull’influenza di Giovanni Paolo II sugli esponenti culturali del nostro tempo, un film che è stato premiato e in cui Helen mi aveva direttamente coinvolto.

A seguito di questo incontro, Charlie e io siamo diventati amici e tutte le volte che succede qualcosa a Roma, lui mi invita al suo programma. E così è avvenuto anche questa volta.

Charlie era a Roma per presentare dal Vaticano il notiziario TV del mattino per la CBS e, in questa veste, aveva praticamente incontrato e intervistato chiunque fosse incontrabile o intervistabile come esperto. Non c’era quindi niente che io potessi aggiungere a quello che lui già conosceva sul Conclave.

Alla sua trasmissione erano presenti anche altri due ospiti, due giornalisti molto conosciuti del New York Times. Uno di loro era ancora a Roma e ha grosso modo commentato ciò che era successo nella settimana precedente. Il giornalista che era con me in studio è noto per la sua posizione molto critica nei confronti della Chiesa cattolica.

Data la situazione, la discussione mi è sembrata tutto sommato corretta, senza particolari posizioni che richiedessero precisazioni da parte mia, tranne due punti, già notati in precedenza in altre occasioni.

Innanzitutto, la Persona di Gesù Cristo non aveva davvero nulla a che fare con ciò che stava accadendo all’interno della Chiesa e con ciò che sarebbe accaduto in futuro, se fosse stato compreso il reale significato di ciò che era successo.

Per affermare la questione, ho fatto riferimento al tema della teologia della liberazione, che ha tanto agitato, e tuttora agita, la Chiesa nell’America Latina.

Papa Francesco, ho detto, non è solo non europeo, è un gesuita latino-americano. Per lui, la parola povero significa molto più che una persona cui mancano i soldi per soddisfare i propri bisogni di base. Nella teologia della liberazione, i poveri non sono la somma totale di tutti coloro che hanno questi bisogni fondamentali; sono, piuttosto, una categoria sociale riferita a una classe economica che esiste e si incrementa fintantoché i poveri rimangono prigionieri di strutture sociali programmate e sostenute dal sistema economico dominante. La teologia della liberazione cerca di capire come questi due tipi di povertà sono collegati secondo il Vangelo.

L’espressione che ha finito per caratterizzare l’insegnamento del Vangelo è “opzione preferenziale per i poveri”. Il Magistero della Chiesa ha accettato questa definizione nella misura in cui non è intesa nei termini della ideologia marxista o di ogni altra ideologia imbevuta di “economismo”, per usare l’espressione di Papa Giovanni Paolo II. Sono certo che molto presto Papa Francesco ci chiarirà la sua concezione dei poveri e della opzione preferenziale per loro.

Il secondo punto è stato ricordare che lo Spirito Santo è il Migliore da consultare su questi temi. I miei amici della trasmissione hanno sorriso….