Inanellando una cantonata dietro l’altra il governo Monti ci sta infilando in una seria crisi delle nostre relazioni con l’India, un Paese per noi più importante della stessa Cina. Se fossero dei politici come i soliti si sarebbe tentati di parlare di dilettanti allo sbaraglio. Questi però non sono dei dilettanti, sono per definizione il governo degli esperti, dei proverbiali addetti ai lavori con il prefetto che fa il ministro degli Interni, l’ambasciatore che fa il ministro degli Esteri e l’ammiraglio che fa il ministro della Difesa, e così via. Per non dire del premier, che è l’esperto per definizione, quello che tutto il mondo ci invidia a quanto dicono il Corriere e gli altri portavoce del blocco di corposi interessi che egli tanto sobriamente riflette. Stando così le cose dovremo allora parlare di professionisti allo sbaraglio. Che siano dei professionisti infatti non si discute, ma che siano andati allo sbaraglio è altrettanto indiscutibile.



È una fitta serie di mosse sbagliate che comincia da subito, quando il 15 febbraio dell’anno scorso, raggiunti in mare aperto da colpi di arma da fuoco mentre erano a bordo della loro barca “St. Anthony”, muoiono Valentin Jalstine e Ajesh Binki, due pescatori tra altro provenienti da uno dei sorprendenti villaggi costieri cattolici di rito latino, eredi della predicazione di San Francesco Saverio, che non sono rari lungo le coste del Kerala. Il tragico incidente avviene quando la “St. Anthony”, una modesta imbarcazione simile a una nostra paranza, giunge a tiro dell’“Enrica Lexie”, una petroliera italiana da 58mila tonnellate di stazza in navigazione in acque internazionali. 



Dei fanti di marina di guardia sulla nave in servizio anti-pirateria a loro dire (e certamente nelle loro intenzioni) sparano in acqua colpi di avvertimento per intimare alla barca dei pescatori di allontanarsi, ma fatto sta che due di loro vengono feriti a morte. Fin qui la tragedia. Subito dopo però inizia la commedia: obbedendo all’ordine di mai ben precisate autorità del Kerala, la “Enrica Lexie” deviando dalla sua rotta va a fare scalo in un porto del Kerala dove i due fucilieri o marò che hanno sparato, poi identificati come Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, si consegnano in uniforme alla polizia locale, che li detiene come accusati di omicidio per la morte dei due pescatori. 



Quando mai è accaduto che una nave in navigazione in acque internazionali faccia una cosa del  genere nemmeno per intimazione di una nave da guerra, ma obbedendo a un ordine ricevuto via radio dalla polizia di un Paese rivierasco? Difficile credere che il suo comandante abbia fatto tutto di testa sua. Si sarà consultato via radio con il suo armatore, il quale si sarà consultato con il governo italiano. Chi, comandante o armatore o ministro, ha preso la sconsiderata decisione? 

Ecco un mistero sin qui ben custodito. I militari in servizio anti-pirateria sulle nostre navi da carico dipendono non dal comandante della nave ma direttamente dal ministero della Difesa in Roma, e per garantire una guardia di almeno due uomini 24 ore su 24 sull’“Enrica Lexie” dovevano esserci almeno sei militari di truppa più un ufficiale o sottufficiale. A sentire i telegiornali sembrava quasi che i due si fossero consegnati di loro iniziativa, cosa impossibile già solo a motivo del loro grado (sono dei semplici graduati di truppa). Chi, a bordo o a Roma, ha dato loro lo sconsiderato ordine di consegnarsi, e per di più in uniforme? Ecco un altro mistero sin qui ben custodito.  

Infine la “Enrica Lexie” è rimasta per ben 80 giorni ferma nel porto del Kerala ove aveva attraccato. Perché l’armatore ha docilmente accettato di perdere così alcune decine di migliaia di euro al giorno oltre alle penali dovute a chi attendeva la consegna del suo carico? Chi lo ha rimborsato di queste perdite? Ecco un altro segreto sin qui ben custodito. Tutto ciò induce a concludere che o siamo nelle mani di incapaci o la nave stava portando qualcosa di così delicato (a parte il suo carico ufficiale) che la cautela a qualsiasi costo era di rigore.

Poi è venuto di conseguenza tutto il problema di lana caprina della gestione dell’accusa e del prospettato processo ai due marò, che a questo punto si sarebbe dovuto affrontare mandando subito il nostro ambasciatore a Delhi a porgere le scuse per il tragico errore, e a offrire un forte indennizzo al villaggio dei due uccisi e alle loro famiglie senza pretendere che in mezzo al mare non si sa bene chi altro e da dove avesse sparato sui due pescatori. Invece da Roma, ed evidentemente prescindendo dalla nostra sede diplomatica, si è giocata la carta di una diplomazia parallela anomala e degli avvocati, con i risultati disastrosi che si vedono. Poi ci mancava solo la gherminella di farsi mandare i due marò in permesso in Italia e poi non farli tornare indietro. Per di più senza rendersi conto che l’essere il vero leader del partito del Congresso e quindi dell’India Sonia Gandhi, che è di origine italiana, per noi non è un vantaggio ma anzi una complicazione, ovvero una specifica responsabilità. 

A questo punto il governo Monti si è infilato in un vicolo cieco da cui non può più uscire. Non resta se non sperare che il futuro governo colga l’occasione del suo esser nuovo per tentare di risolvere la questione su nuove basi. In caso contrario i nostri rapporti con l’India resteranno avvelenati per anni quando con tutti i problemi che già abbiamo non sembra proprio il momento di crearcene con le nostre mani un altro in più grande come una casa.