Il primo “miracolo” di Francesco

Per oltre un mese l'attenzione dei giornalisti è rimasta puntata sul Vaticano, in attesa di scoprire come sarebbe stato e cosa avrebbe fatto il nuovo papa. FERNANDO DE HARO

6mila giornalisti sono tanti. Dallo scorso 11 febbraio, per oltre un mese, si sono concentrati in quel piccolo spazio compreso tra il Tevere e il colonnato del Bernini. Qualcuno faceva un’escursione fino a Castel Gandolfo. Ma poi tornava subito. Sono stati centinaia, migliaia i servizi. E la verità è che c’era poco da raccontare, perché la questione era semplice. Un anziano lasciava il suo lavoro. Non c’era né sangue, né violenza. E altri anziani, venuti dai luoghi più remoti del pianeta, si sono riuniti per eleggere il successore di colui che se ne era andato.

Qualcuno, per tenere caldo il tema, ha parlato molto di pedofilia, lotta per il potere, denaro. E ha fatto pronostici, che la storia ha smentito immediatamente, perché papa Francesco, colui che il 13 marzo è apparso sul balcone come l’eletto, non era il candidato di nessuno e subito si è messo a pregare, a parlare di Misericordia, della capacità che ha Dio di perdonare, di povertà e della centralità di Cristo nella vita della Chiesa.

In sintesi, non c’era modo di costruire una “buona notizia”, perché i fatti la smentivano sistematicamente. Tuttavia, anche se non c’era la notizia, o quello che tradizionalmente si intende per notizia, i giornalisti sono rimasti lì, un giorno dopo l’altro. E le cronache dal Vaticano hanno avuto ampio spazio nei notiziari di radio e televisioni di tutto il mondo, sui giornali di tutto il pianeta. Una parola o un gesto del Papa uscente o del Papa entrante servivano per riempire pagine di quotidiani e ore di televisione.

La cosa sorprendente non è che molti di loro abbiano utilizzato le vecchie categorie tipiche di un inviato speciale. In fin dei conti, finché non si dimostra il contrario, la vita è fatta di sesso, potere e lussuria. La novità è che alcuni di loro abbiano avuto la sensazione che questi vecchi schemi in questo caso non funzionavano.

Ciò che è inaudito è che ci sono stati corrispondenti da una vita che prima si sono dichiarati atei, e poi irresistibilmente attratti dalla bellezza della liturgia con la quale gli anziani si sono chiusi nella Cappella Sistina. La grande sorpresa è stata che corrispondenti navigati abbiano confessato di essersi commossi dopo aver visto come si muoveva papa Francesco e dopo averlo ascoltato mentre spiegava che la Chiesa non è politica. Molti giornalisti, che hanno lo scetticismo nel Dna – come impone la loro professione – hanno percepito un’aria di verità nell’appassionata carità del nuovo Papa, nella sua semplicità, nel suo amore verso i poveri.

Qualcuno, come Ignacio Torreblanca, scandalizzato per la forte presenza del tema religioso nello spazio pubblico, ha richiesto che si tornasse subito “alla normalità”. A una democrazia in cui di nuovo si vivesse come “Se Dio non esistesse”. Nessuno gli ha dato corda. Perché? Forse perché quegli anziani cristiani sono risultati interessanti. Forse perché, alla fine, c’era una buona storia da raccontare e, soprattutto, da vivere. Forse perché, nonostante quello che è stato sentito, detto e proclamato su quanto la fede cattolica sia dannosa per la ragione e la libertà, quando uno conosce uno, due o 115 cristiani in carne e ossa, la cosa diventa interessante. O forse ancora perché un cristianesimo essenziale, fatto di gesti e di testimonianza, di ragioni e di bellezza ha la capacità di persuadere persino i giornalisti. La cosa certa è che alcuni di loro hanno avuto una strana apertura.

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